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CORRIERE DELLA ROMA. Zeman:”Reja cambia troppo, Lucho fa il suo calcio”

Zdenek Zeman

(Corriere dello Sport) Zdenek Zeman, partiamo da martedì sera: le è piaciuta l’Italia? «Il primo tempo sì, il secon­do meno, hanno giocato al ri­sparmio perché pensavano al campionato».

Lei ha ricevuto un sacco di complimenti da Prandelli. Ha detto che pagherebbe il biglietto per vedere una par­tita della sua squadra. «Lui non paga, ha la tesse­ra ».

Col predecessore dell’attua­le ct non le è mai successo di ricevere degli elogi. «Si vede che ha gusti diver­si ».

Che allenatore è Prandelli? «Ha sempre cercato di lavo­rare, anche quando era alla Fiorentina. Con la Nazionale è molto più difficile. Mettere insieme i pezzi a uno a uno non è semplice».

Ha letto le parole di Cassa­no? Dice che è stanco della routine e che fra tre anni smetterà. Come Ibrahimo­vic. «Io non credo che sia stanco: è nato con calcio, ce l’ha nel sangue, e finirà col calcio».

Che giocatore è secondo lei, e come si gestisce? Aveva ragione Lippi che lo esclu­deva o Prandelli che porta pazienza? «Con un tipo come Cassano ci vuole pazienza, non è un giocatore regolare, né in campo né fuori. Il gruppo lo sopporta perché ne ricono­scelequalità».

Il suo Cassano chi era? Ga­scoigne? «Gascoigne l’ho avuto poco, era spesso infortunato, ma in campo era un esempio per gli altri. Dava tutto. Anche troppo. Direi più il giovane Biagioni a Foggia: ora è ma­turato e riconosce che dove­va fare diversamente».

La Nazionale è la squadra a misura di Cassano anche per il minor tempo che c’è per lavorare? «Penso di sì. In pochi giorni di ritiro uno come lui si sop­portameglio».

Buffon ha detto che lei gioca un calcio che può riempire uno stadio come quello di Pescara ed ha aggiunto che non vorrebbe mai essere il portiere della sua squadra. «A me piacciono i portieri at­tivi, che giocano con la squa­dra. Se Buffon sogna una di­fesa impenetrabile, allora il portiere è inutile, che ci sta a fare?».

Passiamo al derby. Sulla panchina della Roma c’è sta­to un periodo in cui lei ne ha persi quattro. Come si senti­va? E cosa consiglierebbe a Reja che è in quella stessa situazione? «Deve pregare per vincere, ma lo dico soprattutto per i tifosi. C’è tanta passione, tanto tifo e per i tifosi è im­portante. Quell’anno siamo arrivati davanti alla Lazio che aveva una squadra im­portante. Ho perso qualche tifosodaa’Roma ma ho ac­quistato qualche tifosodaa’ Lazio».

Come valuta il lavoro di Luis Enrique e Reja? «La mia è una valutazione tecnica. Luis Enrique è ve­nuto in Italia e cerca di pro­porre il suo calcio fatto dipossesso palla; Reja cambia troppo spesso i moduli, una volta Hernanes gioca al cen­tro, un’altra volta a sinistra e poi non è abituato a lottare per lo scudetto, questo dice la sua lunga carriera».

Lei è passato alla storia del derby come l’allenatore che disse: “Per me il derby è una partita come le altre”.Ne è ancora convinto? «Sì. Da allenatore devo cer­care di mettere a proprio agio la squadra; ci sono sem­pre troppe pressioni e infat­ti il derby non è mai stata una bella partita, giocata se­condo le potenzialità delle due squadre. In un derby è meglio guardare gli spalti che il campo: lo spettacolo vero è in tribuna».

Sabatini, nei giorni scorsi, ha dichiarato di non rinne­gare il suo passato laziale e per questo è stato criticatis­simo. Che ne pensa? «Ha detto quello che pensa­va. Io come allenatore sono rimasto legato a tutte le squadre che ho allenato. Dalla Lazio sono passato al­la Roma senza traumi».

Come c’è riuscito? In una città umorale come Roma sembra un miracolo. «Non so la lettura che si può dare a questo fatto. So che i laziali non ce l’hanno con me, mentre i romanisti mi hanno accettato, forse per­ché c’erano quei 4 mesi di parentesi in mezzo».

Cosa la lega più alla capita­le? «Ormai la sento come la mia città, ci vivo da 16 anni. An­che se non ci sto tanto, ci sto bene». E’ lecito chiederle per chi farà il tifo? «Non faccio il tifo, mi augu­ro solo che la gente si diver­ta ».

Dicono che Rossi non potrà mai essere l’allenatore del­la Roma perché una volta ha festeggiato una vittoria tuf­fandosi nel Fontanone al Gianicolo. Che ne pensa? «Non decidono i tifosi, ma di sicuro i tifosi della Roma non se lo dimenticano».

Lei avrebbe fatto quel tuffo? «Io no, anche se sono inse­gnante di nuoto».

Nel suo tridente, Totti gioca­va all’ala sinistra. Oggi dove lo farebbe giocare? «Per me può giocare in tutte le posizioni di attacco e cen­trocampo. Forse poteva co­prire anche prima la posizio­neattuale, ma doveva essere inserito in una squadra orga­nizzata diversamente. Il ruo­lo di centravanti gli ha fatto male: ha segnato di più, ma se restava all’ala avrebbe avuto meno infortuni. Che poi l’hanno condizionato».

Ha ancora un futuro davan­ti a sé? «Per me Totti è ancora il più bravo giocatore d’Italia».

Che differenza c’è tra il suo 4-3-3 e quello di Luis Enri­que? «Lui punta sul possesso pal­la, io non lo faccio perché… non ho pazienza: sarà una questione di carattere, ma voglio arrivare subito in por­ta ».

Che ne pensa degli america­ni che hanno acquistato la Roma? «Sono abituato al calcio vec­chio: per me il presidente deve essere il primo tifoso della squadra e un appassio­nato, deve aver vissuto die­tro la squadra per tanto tem­po. Questa mi sembra troppo un’operazione economica. Non è il mio ideale. Anche se oggi per fare calcio ci voglio­no soldi». Lotito che presidente è? «Non so se Lotito era tifoso della Lazio».

Ha più sentito Signori dopo la bufera delle scommesse? «Sì, anche un paio di setti­mane fa. Era abbattuto, di­spiaciuto, ma continuava adirmi che non c’entra niente. Mi è dispiaciuto molto: quando giocava era di esem­pio per i ragazzi, a Foggia era figlio della città, gli vole­vano bene tutti, rovinarsi l’immagine così… Sì, è vero, il gioco gli è sempre piaciuto, scommetteva su tutto, anche sul fatto di riuscire a colpire la traversa da centrocampo. Ma io non ce lo vedo in mez­zo a storie losche».

E si aspettava che Baiano di­ventasse allenatore? «Mi aspettavo che rimanesse nel calcio, è nato con il pallo­ne ai piedi e poi è un ragazzo simpatico: se non fa calcio, non fa niente».

E’ vero che due anni fa lei è stato vicino alla Lazio? «Vicino nel senso che la col­lina Fleming dove abito è a due passi da Formello?».

No. Vicino nel senso di pan­china. «Se n’è parlato, ma più voi giornalisti che gli altri. Co­munque se n’è parlato».

Tornerebbe alla Roma o alla Lazio? «Iosareidisponibile».

Dicono che Matuzalem sia uno dei suoi giocatori prefe­riti di questa Lazio. «E’ vero. L’ho avuto a Napo­li. Mi aspettavo che diven­tasse il perno anche della Se­leçao, aveva i mezzi e il ca­rattere. Si è fermato per col­pa dell’infortunio».

Nel suo 4-3-3 Hernanes dove giocherebbe? «Per me è un centrocampi­sta, non ha un passo da ester­no ».

E’ uno dei più grandi gioca­tori della Serie A? «Se è uno dei più grandi lo deve far vedere prendendo in mano la squadra. Per me non è ancora grande, ma ha le qualità per diventarlo».

Come avrebbe gestito un ta­lento come Zarate? «Zarate è il giocatore ideale per me».

Non giocava per la squadra, così dicevano nella Lazio. «Già, si diceva che non pas­sava la palla, ma se si conta­no gli assist ha fatto fare più gol lui di tanti altri».

Ci può stare un paragone con Beppe Signori? «Sì,cipuòstare».

Scelga il centrocampo e il tridente preferiti mischian­do la sua Roma e la sua La­zio. «A centrocampo Fuser, Di Biagio e Winter; in attacco Totti, Casiraghi e Signori».

Nel prossimo derby peserà di più l’assenza di Klose o quella di Totti? «Pesa di più Totti: i grandi giocatori influenzano di più, trascinano la squadra; e lui sa leggere la partita. Klose mi piace molto, ma è un fi­nalizzatore ».

Di Osvaldo romanista che giudizio può dare? Prandelli lo ha elogiato... «Però lo faceva giocare poco a Firenze. La verità è che da giovane aveva dei problemi, si arrabbiava sempre. Ora è più maturo».

Lui ha detto che i suoi inse­gnamentia Lecce sono stati preziosi. «Forse li ha capiti dopo. A quei tempi ci ho combattuto molto».

De Rossi davanti alla difesa. E’ la posizione giusta? «Dipende da quello di cui ha bisogno la squadra. Quel ruolo è un po’ copiato dal Barcellona».

Qual è la squadra che le pia­ce di più in Serie A? «Il Napoli. Fa bene la fase di­fensiva e riparte. Per il con­tropiede ha i giocatori più importanti, tipo Lavezzi».

Della Juve che idea si è fat­to? «Conte si è presentato col 4-2-4 e poi sta cambiando, ci vuole ancora un po’ di tempo per trovare il modulo adatto. Per ora è un laboratorio».

Per riavere lo scudetto del 2006 la Juve ha saltato la fe­dercalcio e si è rivolta al Tnas. «Non lo trovo giusto. Anche la dirigenza attuale sa cosa era accaduto in passato, cose che non dovevano succede­re. Ma se qualcuno pensa che io ce l’abbia con la Juve si sbaglia, ho ancora dei po­ster di quella squadra. Io ce l’ho solo con un certo siste­ma… ».

Finiranno mai gli strascichi di calciopoli? «Dovrebbero finire, ma pen­so che non finiranno mai. Il 2006 è stato l’anno delle in­tercettazioni, ma il calcio an­dava così da molti anni».

E’ orgoglioso del fatto che lei sia ancora in campo e Moggi fuori? «Che vuol dire orgoglioso? Io sono contento di poter fare ancora qualcosa nel calcio e di vedere fuori Moggi che per me ha fatto male al cal­cio ed è giusto che stia fuo­ri ».

Chi è il tecnico che le piace di più? «Non ho esempi da indica­re ».

Tre giorni fa abbiamo pub­blicato un’inchiesta: l’Italia ha il campionato “mangia al­lenatori” rispetto al resto d’Europa. Come lo spiega? «Sono scelte di società, di­pendono da un problema economico, di gestione. Non dipende mai da noi allenato­ri. Però, per mettere un po’ di pepe, posso aggiungere che ci sono molti presidenti che stanno diventando alle­natori».

La scuola italiana dei tecni­ci è sempre all’avanguar­dia? «Sono sempre più convinto che la gavetta serve. Oggi si fa il corso a Coverciano e si diventa allenatori. Essere buttati così nel mezzo non è producente».

Lei quanto allenerà ancora? Quanto Trapattoni? «In questo momento mi pia­ce fare calcio, per ora non ho intenzione di smettere, ma devo trovare gente disposta a sopportarmi».

E’ più facile smettere di alle­nare o di fumare? «Per ora non penso di smet­tere né di fumare, né di alle­nare, anche se so che una co­sa mi fa bene e l’altra mi fa male».

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