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CORRIERE DELLA SERA. Il vizio della Roma? Riesce sempre a far felice il Genoa

Luis Enrique

(L.Valdiserri) – C’è sempre la Roma a far felice il Genoa. Un anno fa si fece rimontare da 3-0 a 3-4 e costò la panchina aClaudio Ranieri. Ieri prima ha ridato la gioia a Bosko Jankovic, un talento perso per colpa di troppi infortuni, che non segnava un gol dal 31 maggio 2009 (Genoa-Lecce 4-1), e poi ha concesso a Kucka il gol della vittoria all’89’, dopo che Borini aveva dato ai giallorossi un pareggio che, per quello che si è visto in campo, alla Roma andava pure stretto. Malesani è sempre stato un allenatore offensivista, eppure ieri è stato costretto a difendersi con dieci uomini dietro la palla. Il Genoa ha avuto il merito di stringere i denti e di affidarsi a Palacio, che è stato tre quarti della squadra. Il gol del primo vantaggio è venuto da una sua palla recuperata su errore banale di Heinze (38′ p.t.) ed è stato ancora l’argentino a guadagnare e battere il corner da cui è nato il 2-1. Una parabola arcuata, sfuggita al controllo di Stekelenburg e di tutta la difesa dellaRoma che ha lasciato liberi Merkel di fare la torre e Kucka di segnare con un tap-in svelto quanto apparentemente casuale. Marassi, con la sua atmosfera, ha dato vita a una partita all’inglese, a ritmi sempre alti. La Roma l’ha giocata meglio, tenendo più il pallone e creando più occasioni, ma dimostrando di essere ancora un cantiere aperto.

Difficile dire se il Genoa abbia concesso volontariamente il pallone agli avversari quasi in esclusiva. Di sicuro ha avuto la forza dell’ultima ripartenza dopo aver subito il pareggio (bravissimo Borriello a servire Borini anticipando Bovo). I tre punti sono un premio troppo generoso, ma nella carriera di Malesani non è successo molte volte. In quella in costruzione di Luis Enrique, invece, c’è il fondato sospetto che possa capitare spesso di giocare meglio e non vincere. Speriamo per lui e per la Roma che, almeno percentualmente, arrivino poche sconfitte così. Con il derby questa è la seconda gara perduta quando l’orologio stava per dire basta. Un segnale di gioventù? Forse, ma gli errori decisivi ieri sono arrivati anche da uomini di esperienza. La sorpresa dell’asturiano, che non manca mai, era stata l’attacco della Primavera: Borini (classe 1991), Lamela (1992) e Bojan (1990). Osvaldo e Borriello, partiti in panchina, sono entrati nel secondo tempo: uno non si è quasi visto, l’altro ha giocato una gara gagliarda, lasciando il dubbio di quello che sarebbe successo se fosse partito dal primo minuto, per dare peso ed esperienza. Nessuno contesta il coraggio dell’asturiano (che ha finito con in campo Borriello, Borini, Bojan e Osvaldo, quattro punte), ma a volte serve anche la semplicità. Sabato, all’Olimpico, contro il Milan rientrerà Pjanic, non Totti. È già una curva importante in una stagione dove si deve costruire cercando di non deprimersi.

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