(M.Ferretti) È una squadra senza difesa, la Roma di Luis Enrique. Undici partite ufficiali alle spalle (Europa League compresa) e tredici reti al passivo. Soltanto in due occasioni, in campionato a Milano contro l’Inter e a Parma, la Roma è riuscita a non beccare gol. Contro il Milan, sabato, ha preso per la prima volta tre reti, subendone addirittura due su azione di calcio d’angolo cioè esattamente come era accaduto pochi giorni prima in casa del Genoa.
Roma senza difesa per (clamorosi) errori dei singoli ma, fatalmente, anche per errori di squadra: insomma, un rendimento da incubo per colpa dei giocatori ma anche di chi li allena. Luis è tipo che cura soprattutto la fase offensiva, si sa, ma non è vero che si disinteressa di ciò che avviene quando la palla ce l’hanno gli avversari. Anzi.«Dobbiamo attaccare e difendere in undici», il suo diktat: la Roma attuale attacca in massa ma, forse proprio per questo, si difende con pochi uomini e male, e con scarsa organizzazione. I gol subiti su azione da calcio d’angolo (a Bratislava contro lo Slovan, contro l’Atalanta, a Genova e due volte contro il Milan) chiamano fortemente in causa i singoli, alcuni dei quali in quelle circostanze semplicemente disastrosi, ma se una squadra subisce così tanto le palle inattive la responsabilità è anche dell’allenatore che, probabilmente, non addestra a sufficienza i suoi uomini su quelle situazioni di gioco. Complessivamente, la Roma non ha mai beccato un gol da fuori area, e questo è un dato che va interpretato. Così come va rilevato che la squadra di Luis ha subìto cinque reti su colpi di testa: l’altra sera contro il Milan, tre gol su tre dei rossoneri sono arrivati da gioco aereo. Tante; troppe, in una sola partita. Luis, che ha cambiato undici volte su undici la formazione della Roma, in difesa solo in due circostanze ha replicato uno schieramento già sperimentato: con l’Atalanta ha messo in campo gli stessi difensori impiegati contro il Cagliari (Rosi-Burdisso-Heinze-Josè Angel) e contro il Milan ha schierato la linea arretrata già vista contro il Palermo (Cassetti-Burdisso-Juan-Josè Angel). Di fatto, non esiste una linea base, anche se Burdisso, nove presenze su nove (due non da titolare) in campionato e Josè Angel, 8 (una saltata per squalifica), vanno considerati titolari. Quando Luis parla di «mancanza di cattiveria nel dominare l’area», si riferisce – probabilmente – al dato relativo ai tredici-gol-tredici che la Roma ha incassato dentro i propri sedici metri, dove si dovrebbe lottare con i denti su ogni pallone: la Roma, basta (ri)vedere le partite, questo ancora non lo fa. L’immagine simbolo di questa lacuna è Nesta che, partendo dalla propria area, va a saltare indisturbato sul corner calciato da Robinho. Ma come non ripensare al colpo di testa in solitudine di Merkel a Genova, prima della spizzata fatale di Kucka? Fino alla partita contro il Genoa, i giallorossi non avevano mai beccato gol nel primo tempo e nel giro di tre giorni il dato è salito a tre. Una brutta inversione di tendenza. In assoluto, il periodo di gioco più negativo per la Roma in fase difensiva è l’ultimo quarto d’ora, con cinque gol già al passivo. Gol che sono costati carissimi, ricordando ad esempio quelli subiti contro Cagliari, Siena, Lazio e Genoa. Sul piano dei (nuovi) singoli, deludente finora il rendimento di Kjaer, al di sotto delle attese quello di Stekelenburg, a due facce (tattiche) quello di Josè Angel mentre Heinze, preso a parametro zero per essere la riserva della riserva, ha alternato cose belle a errori impensabili per uno con la sua esperienza.