(Il Messaggero – A. Angeloni) – Dirigente Pradè prima, ds Pradè poi, ora uomo senza etichette, libero e padrone di se stesso. Un percorso decennale in giallorosso che lo ha stancato, esaltato. Dieci anni di passioni forti, di salti mortali, di errori. Daniele s’è fatto le ossa in provincia, ma è cresciuto nella sua Roma.
Ora c’è il derby, lui deve viverlo da spettatore. «Sono romano, tifoso della Roma da sempre, certe sfide le sentivo come le sentono calciatori come Totti e De Rossi. Mi mancherà questo appuntamento».
É vero che ha un passato biancoceleste? «Cinque anni nelle giovanili della Lazio dalla fine degli anni ’70. Ero piccolo, pensavo solo a giocare. Poi fu strano un giorno: la mattina indossai la maglia biancoceleste per una partita, il pomeriggio ero in tribuna a tifare la Roma in un derby, che vincemmo due a uno, reti di Pruzzo, D’Amico e Giovannelli».
I suoi derby da dirigente? «Sono legato a quello vinto grazie al goal di Cassetti, un giocatore che sento mio. Poi, anche il due a zero che ci regalò la undicesima vittoria consecutiva. Sensi piangeva in tribuna, noi tutti sotto la Sud. Con Totti infortunato che ci diede la carica da bordo campo».
La Roma ne ha vinti molti durante la sua presenza. «Da quando sono a Trigoria, quattordici, pareggiati sette, persi quattro. Uno score non male. Successi nati da una maggiore serenità che avevamo rispetto alla Lazio».
Nel ultimo perso litigò con Lotito. «Disse che i nostri giocatori erano scorretti. L’ho dovuto zittire. È uno che si lamenta sempre».
Il suo primo da dirigente? «Quello dell’autogol di Negro. Indimenticabile. Spettacolare l’esultanza di Capello, uno che non si scompone mai».
Ci sono laziali che avrebbe voluto alla Roma. «In passato provammo a prendere Ledesma, a Spalletti piacevano pure Rocchi e Mauri. Due anni fa facemmo un tentativo per Klose e Cisse».
Zarate alla Lazio è una sua sconfitta? «Direi proprio di no. Un signore, che nemmeno faceva parte del mondo del calcio, lo propose alla famiglia Sensi. Non valeva venti milioni».
Che cosa non rifarebbe da dirigente della Roma? «L’operazione Adriano. Ma fu una scommessa a costo zero. E la Roma alla fine ci ha pure guadagnato».
Anche la Roma faceva mercato a costo zero. «Appunto. Era un progetto senza soldi. Facemmo miracoli. Adesso è tutto diverso e mi piace molto. Sarebbe bello esserci».
Pochi soldi, mercato sofferto e a lei parecchie critiche. «La gente non è stupida, sa in che condizioni abbiamo lavorato, sa che da parte mia non è mai mancato l’impegno e la passione. Oltre che la lealtà con tutti».
Certo, quella telefonata con Innocenzo Mazzini (intercettazione ai tempi di Calciopoli) non è stata di cattivo gusto? «Erano toni amichevoli, nulla di losco. Innocenzo mi conosce da vent’anni. Telefonate normali».
Ora che cosa fa? «Mi trasferisco a Londra dopo un po’ di mesi a metabolizzare l’addio alla Roma. Cambio calcio, vita. Ho bisogno di essere un po’ libero e l’ambiente inglese mi aiuterà a crescere. Alcune società mi hanno cercato, non ero pronto per il salto in basso».
Come mai non ha accettato l’offerta di Baldini? «Dovevo fare il vice direttore generale, potevo occuparmi di Lega, Figc, Coni etc. Lì per lì ho detto sì, poi quando ho capito che dalla mia vita sarebbe scomparso il pallone, ho deciso di farmi da parte. Nella vita ho fatto di tutto, a Trigoria mi sono occupato dal reperimento della carta igienica al contratto di Totti. Ora ho bisogno di altro. Il calcio inglese mi affascina».
I suoi allenatori. «Capello mi ha fatto sentire importante. Spalletti era uno con cui mi scontravo ma è tra i più bravi. Ranieri è un ottimo professionista, uno che ti guarda dritto negli occhi, forse come allenatori ne preferisco altri, magari più giovani. Luis Enrique? Lo conosco poco, ma per quel poco ho capito che è uno con grandi idee e una persona leale».
Che rapporto aveva con i giocatori? «Sempre corretto con tutti. Con Cassano un po’ meno? Arrivammo alle mani. Poi capì che aveva sbagliato». Andrà allo stadio per il derby? «Non è corretto nei confronti di chi sta lavorando adesso. Lo seguirò da casa. Spero che il risultato sia il solito».