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IL ROMANISTA. Il morso di Lamela

Esultanza gol Roma

(D.Galli) E pensare che veniva daun infortunio alla caviglia. E pensare che non stava al 100%. E pensare che finora aveva giocato zero minuti con i compagni. E pensate, ora, a cosa vi combinerà questo ragazzo di 19 anni tra qualche tempo. Quando Lamela sarà matura. «Sono molto felice perché ho iniziato a giocare e anche di più perché abbiamo vinto », gongola Erik su Twitter mentre va a festeggiare in un ristorante del centro. Possono bastare otto minuti per toccare il cielo con un dito? Sì, se ti inventi un qualcosa di irrazionale. Di incredibilmente folle. Tu pensi al cross anche se Borriello, De Rossi e Pizarro là in mezzo sono marcati. E lui sfodera un sinistro a giro che sorprende l’Olimpico.Poi non capisci più nulla, il boato ti avvolge, Burdisso ti coccola come l’altra sera all’ultima cena, ma la prima di una lunga serie, a base di asado e brindisi, Osvaldo sorride come un bambino. Ma è solo quando De Rossi ti sommerge che tu capisci cos’è la Roma. E cos’è fare gol con la maglia della Roma. Pizarro glielo aveva predetto: «Segnerai tu».

Una perla da cineteca, una dimostrazione di classe, lo scintillio di una stella appena nata ma che già rischiara l’orizzonte. È troppo bello quello che accade all’8’ del primo tempo. Troppo. È la prima partita di Erik, è l’esordio tanto atteso, è l’ultimo petalo a doversi schiudere di una rosa che un anno fa nemmeno ci permettavamo di sognare. L’argentino prende palla sulla trequarti, là dove la Tevere stringe la mano ai Distinti destinati alle famiglie. È lì che l’incantesimo strega centinaia di bambini e migliaia di adulti. Romanisti. Ma strega soprattutto Tzorvas, l’ex portiere del Panathinaikos, uno dei protagonisti di quella serata maledetta d’Europa League. Un anno fa. C’era Ranieri. Imperfetto? No, passato remoto. Eredità di una Roma che non c’è più, ricordo sbiadito di una coppa da cancellare. I fotografi catturano l’immagine: Tzorvas si tuffa, ma stavolta non fa in tempo a deviare la conclusione. Fa in tempo in compenso a voltarsi e a vedere la palla addormentarsi in fondo alla rete. E poi? Lamela non è ancora perfettamente a suo agio negli schemi di Luis Enrique. Sabatini predica calma, vuole proteggerlo: «Si è allenato poco con la squadra, dobbiamo aspettarlo». Vero, ma Erik sfoggia una tecnica indiscussa. Va a tanto così dalla doppietta. Nel primo tempo gli viene deviata in angolo una conclusione a botta sicura. Nel secondo cresce ulteriormente. Al 13’ prova ancora il sinistro magico e il pallone va a lato di poco. Al 32’ si invola in contropiede, ma si fa recuperare dalla difesa del Palermo. Pizarro è a qualche metro di distanza, ma Lamela non lo vede. O comunque non lo serve. Un peccato di gioventù, ovvio.

Quando al 38’ Bojan gli dà il cambio, dagli spalti scrosciano applausi. È un’ovazione. Tu chiamalo, se vuoi, amore. A fine partita Lamela scappa via. Si limita solamente a twittare: «Sono molto felice, perché ho iniziato a giocare e anche di più perché abbiamo vinto. Forza Roma!». Lascia il palcoscenico ai più grandi. Ai senatori. Ai De Rossi («Lamela è bravo e tignoso», e detto da Daniele è un gran complimento, caro Erik), ai Pizarro, ai Cassetti. La dirigenza lo esalta, Sabatini cerca di prendersi il minor numero di complimenti possibili per un acquisto, l’ennesimo, indovinato. «È un colpo della Roma, perché io opero nella Roma e faccio le scelte per questa società», dice il diesse. Aggiungete all’elenco dei pregi la modestia, per favore. Quando il sole scompare dall’Olimpico, Lamela fugge via tra le braccia di chi ha assistito al capolavoro dalla tribuna: familiari e amici. Scappa dalla fidanzata Sofia, da mamma e papà, dal fratello. Scompare nel tramonto romano, avvolto ancora dall’eco di quel gooooo’. Di quel primo inno alla gioia cantato dalla Sud. Sarà difficile dimenticarlo.

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