(M.Macedonio) «Alla fine abbiamo sofferto tantissimo», ammette Luis Enrique al termine della gara. E nonostante il successo, non nasconde che c’è sempre da lavorare. Troppo fresco il ricordo di quel gol subìto a dieci secondi dalla fine, una settimana fa. Dopo il derby, era proprio il risultato, stavolta, la cosa più importante. «Sì – continua il tecnico – anche se noi cerchiamo sempre di proporre il nostro gioco. E ci sono ancora tante cose che dobbiamo migliorare ».
Quella che va crescendo è la fase offensiva. Si sono costruite molte occasioni, anche se molte ne sono state lasciate agli avversari. Anche a causa di un calo di intensità, a tratti. «Magari perché di fronte avevamo una bravissima squadra, che è ad un livello molto interessante. Sapevamo che non sarebbe stato facile – dirà più tardi anche in sala stampa, quando il suo primo pensiero andrà comunque a Marco Simoncelli («Una notizia incredibile » dirà nell’esprimere le sue condoglianze). – Avevo visto le partite del Palermo: ha giocatori di grandissima qualità». D’obbligo, in tema di singoli, un giudizio su Lamela. «E’ un calciatore forte – sostiene – che deve amalgamarsi alla squadra. Mi è piaciuta la sua personalità. A 19 anni è un giocatore diverso dagli altri. Ha grande qualità, ma deve ancora apprendere e migliorare tanto. Ha l’atteggiamento giusto e la voglia di farlo, e questa è la cosa più importante. Per essere un classe ’92, è un giocatore speciale, straordinario. Ma gli serve tranquillità». Si resta sui singoli.«Stekelenburg aveva necessità di una partita buona con suoi interventi. Ottimo per il suo morale. Gago è arrivato alla fine del mercato e, alla sua seconda partita, ha confermato che può giocare sia come regista che come interno. E lo fa benissimo. Juan è un giocatore di immensa qualità, internazionale. Ha dato tutto, ma era da tanto che non giocava. Siamo contenti di poter contare su di lui». Può essere utile, in fase di impostazione, per evitare la pressione su De Rossi? «Ogni calciatore ha le sue qualità. Juan può facilitare questa uscita di palla, che deve però essere una qualità di tutti, non solo sua. Dobbiamo tutti migliorare tantissimo, io per primo, per controllare la partita in modo diverso ». Una Roma che manca di cattiveria in zona gol? «E’ una regola che conosciamo bene: se non si chiudono, le partite si possono sempre riaprire». A che punto è la capacità della squadra di mettere in pratica le sue idee? «Non lo so. Quando finirà la stagione, potrò dire se sarò stato capace di trasmettere ai giocatori come devono comportarsi. Oggi, comunque, la situazione è molto migliore di quando sono arrivato. Vuol dire che i giocatori hanno voglia di far bene. E per me è sufficiente. Di sicuro, non voglio soffrire così. Come non lo vogliono i tifosi. Non so se sono abituati, ma io no». Fare pressing dopo aver perso palla? «E’ giusto, ma non si può fare per 90 minuti. Soprattutto, non dobbiamo perderla in maniera stupida. Sennò sei quasi morto. E’ successo nel derby con l’episodio del rigore. E’ questo il lavoro di ogni giorno. Vedere quando devi essere orizzontale e quando verticale. Non so se riuscirò a farlo capire ai giocatori in 6 mesi o in 18 anni. Di sicuro, in 18 anni no». Si può sperare, col tempo, in una formazione-base? «Dipende da tante cose. L’importante è avere una squadra come questa. Professionista. Non so quanti hanno finora giocato con me. E manca la Primavera, dove ci sono ragazzi che mi piacciono tantissimo».