Siamo alla patente di italianità. Oltre il passa- porto, oltre la cittadinanza e le scelte del ct della Nazionale Cesare Prandelli. Capita infatti che l’onorevoleDavide Cavallotto della Lega, fin qui assurto alle cronache nazionali per la sua campagna di boicottaggio del film di Michele Placido sulla vita di Renato Vallanzasca, nei giorni scorsi non abbia trovato di meglio che polemizzare per la convocazione in azzurro di Osvaldo. Una scelta, ha tuonato Cavallotto, che «certifica il fallimento definitivo della politica della Figc. Il progetto di Cesare Prandelli – ha proseguito – che avrebbe dovuto portare i nostri giovani talenti a vestire la maglia azzurra, si sta trasfor- mando in una pensione per oriundi».
Niente di nuovo, in fin dei conti. Le solite sparate leghiste a metà fra la xenofobia e la ricerca di visibilità a basso costo. E basterebbe la risposta dello stesso Osvaldo per chiudere in due parole la questione, l’ennesima. «Alla fine io sono più italiano di chi si è lamentato perché vesto la maglia azzurra», ha ribattuto ieri l’attaccante giallorosso. Che, per inciso, ha già giocato nell’Under 21. Stavolta, però, di più grottesco, c’è la pretesa di stabilire chi merita o meno la maglia della Nazionale. E non in base al suo valore in campo, alla sua utilità alla causa di Prandelli o al suo stato di forma. Ed è ancora più grottesco che ad arrogarsi questo diritto sia il rappresentante di un partito che invoca la secessione dall’Italia; un partito di elettori che non perdono occasione per ribadire di non sentirsi italiani; un partito capeggiato da un leader che userebbe il tricolore come carta igienica e che organizza il Giro ciclistico della Padania polemizzando col presidente della Repubblica quando è costretto a sottolineare l’ovvio spiegando che la Padania non esiste. Non si sentono italiani, ma pretendono di decidere chi deve esserlo. Anche calcisticamente. E allora ci perdoni Cavallotto, ma noi stiamo con Osvaldo.