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CORRIERE DELLO SPORT. Carlos Bianchi: “Io, Roma, Totti, vi racconto tutto”

Carlos Bianchi

(G.D’Ubaldo) Una settimana a Roma. Per vacanza e per studiare la Roma. Quattordici anni fa Carlos Bianchi fu allenatore della Roma per nove mesi, fino all’esonero. Una decisione presa da Franco Sensi con le lacrime agli occhi, fu quella l’unica volta che il vecchio presidente si spinse a tanto. In questi quattordici anni Carlos Bianchi è tornato altre volte a Roma, accompagnato dall’inseparabile moglie Margarita. In questi quattordici anni il tecnico argentino che ha vinto tre Coppe Intercontinentali con due club diversi (Velez e Boca, due a spese del Milan), non è mai tornato a parlare della sua deludente esperienza romana. Lo fa per la prima volta, un’ora prima di seguire l’allenamento di rifinitura della squadra giallorossa, alla vigilia della partenza per Novara, nel ristorante alla Cecchignola dove sono passati tutti gli allenatori della Roma.
Bianchi, come mai questo viaggio a Roma?
«Ci torno sempre volentieri. E’ successo già tre volte dopo l’esperienza sulla panchina giallorossa. Sono stato qui una settimana. Ho incontrato gli amici e sono stato a vedere gli allenamenti di Luis Enrique. Una buona occasione per veder lavorare qualcuno che ha idee diverse da quelle che si applicano solitamente nel calcio italiano».

Che impressione le ha fatto Luis Enrique?
«Buona. Come persona è molto disponibile, semplice. E ha idee molto chiare, questo è importante per un allenatore, soprattutto per un allenatore straniero che viene a lavorare in Italia».

Che novità ha ravvisato nei suoi metodi di allenamento?
«Nel calcio c’è poco da inventarsi, ognuno ha i suoi metodi. Ma ho visto che è in sintonia con i suoi giocatori e riesce a far esprimere la squadra secondo le sue idee».

Luis Enrique vuole praticare un calcio offensivo.
«Non spetta a me giudicare».

Lei era all’Olimpico per Roma-Milan. Che idea si è fatto?
«Non c’è stata una grande differenza in campo, la partita è stata decisa dai particolari. Ma da una parte c’era una squadra già fatta, già abituata a vincere, dall’altra una squadra che è stata appena costruita come è appunto la Roma di quest’anno».

Che ricordi ha della sua esperienza romana?
«Conservo un buon ricordo, non serbo rancore. La mia carriera non si è fermata a Roma, ho continuato a vincere. Ma mi piace ricordare che quando sono stato esonerato, la Roma era settima in classifica. Dopo di me ha finito il campionato sfiorando la retrocessione in serie B. Noi quando siamo arrivati in Italia credevamo molto nel lavoro, ma non abbiamo avuto la possibilità di portare avanti il nostro progetto».

La Roma di oggi invece ha sostenuto Luis Enrique nei momenti difficili
«Della società attuale non posso parlare perchè non la conosco. Ai miei tempi la società era instabile, i dirigenti non avevano idee chiare».
Per un allenatore che viene dall’estero è più difficile allenare a Roma?
«Secondo me no se trova una squadra composta da professionisti. In questo caso non ci sono mai problemi».

Lei ha incontrato difficoltà nell’approccio con i giocatori alla Roma?
«In fin dei conti non ci sono grandi differenze, in Italia o in Argentina. Cambia la mentalità. In Francia, da calciatore, pensavo in modo diverso dai francesi, ma dovevo fare il mio lavoro, che era quello di buttarla dentro. Ai tempi di Platini sono stato cinque volte capocannoniere».

Si dice che lei avesse sottovalutato il talento di Totti, spingendolo ad andare in prestito alla Samp
«Io conosco la verità su questa storia. Sono state dette tante cose non vere, mi hanno messo in bocca parole che non ho mai detto. Ma non ha senso parlare oggi di quello che è successo quasi quindici anni fa. Posso solo dire che la verità la conoscevamo io e il presidente Sensi, che oggi non c’è più. Tornare su questo argomento non conta».

Totti quando c’era lei aveva venti anni. Com’è stato il rapporto?
«Ho giocato prima di lui e gli ho dato consigli, a lui come ad altri. Anche i più banali, come quello di mettere i parastinchi anche dietro alla gamba. Quando i difensori entrano duro fanno male anche lì…».

Totti oggi ha 35 anni ed è considerato il più forte calciatore italiano
«Non seguo molto il calcio italiano. Per come lo ricordo è un buon giocatore, uno dei più forti che ho allenato. Con lui metto Riquelme e qualche altro».

Con Luis Enrique gioca più lontano dalla porta
«Con me era trequartista. Un vero dieci, come il numero che porta. Un ruolo che ritengo fondamentale per costruire le mie squadre. Un trequartista che ha talento illumina il gioco».

Lei ha lanciato tanti argentini che hanno fatto fortuna in Europa
«Samuel, Burdisso, Tevez, Riquelme, Battaglia».

Tevez ha problemi con Mancini…
«Posso solo dire che è un buon giocatore, ma non conosco il rapporto che c’è tra lui è il suo allenatore. Il nostro è il mestiere più difficile. Ogni allenatore deve andare d’accordo con trenta giocatori, mentre i giocatori devono relazionarsi con una sola persona. Prima di una finale della Coppa Intercontinentale fui costretto a escludere un titolare indiscusso. Non stava in piedi. Gli andai a parlare la sera prima, nella sua camera, in ritiro. Ci ritrovammo a piangere tutti e due».

Dopo la Roma ha continuato a vincere…
«Ho continuato a fare la mia piccola strada… Con il Boca ho vinto altre due Coppe Intercontinentali, nel 2000 e nel 2003, battendo Real Madrid e Milan. Poi ho vinto altre tre volte la Libertadores e quattro titoli argentini, in soli cinque anni».

In Italia quali sono le favorite per lo scudetto?
La Juventus mi ha fatto una buona impressione e anche la Lazio è una squadra forte. Ma penso che tutto dipenda dal Milan, fino a dove arriverà in Champions e quante energie sprecherà in Europa. Dipende dalla sfida con il Barcellona e a quella successiva in campionato. L’Inter non credo che possa tornare nel giro scudetto e non vedo il Napoli forte come lo scorso anno, forse è condizionato dall’impegno in Champions, dove accusa la mancanza di esperienza».

Il Napoli ha molti argentini interessanti: Lavezzi, Campagnaro, Fernandez, Santana, Fideleff, Chavez. Su chi punterebbe?
«Lavezzi da qualche anno ha un buon rendimento in Italia, Fernandez è un giovane che vuole conquistare il posto da titolare. Ha giocato anche in Nazionale, è un ragazzo che può crescere».

Nella Roma ci sono Burdisso, Heinze, Gago, Lamela, Osvaldo
«Burdisso è un leader, ha una grinta incredibile. Era così anche da ragazzino. Lo feci esordire a diciassette anni in Coppa Intercontinentale. Ha voglia di vincere sempre, lui non accetta mai la sconfitta. E’ un grande professionista, vive per il calcio, è esigente con se stesso prima ancora che con i suoi compagni. Non riesce a comprendere se un compagno non fa la sua stessa vita. Nel Boca ho avuto anche Gago, ma era troppo giovane. Lo facevo giocare tra le riserve. Lamela è un giovane molto interessante. Arrivare nel campionato italiano non è facile. In Argentina i ragazzi arrivano subito in prima squadra, in Italia non è così. Il consiglio che posso dargli è di essere professionista e che sia umile per poter imparare. Arrivare in Italia a diciannove anni è una fortuna che deve saper meritare».

Al suo posto, l’anno successivo, arrivò Zeman. Oggi allena in serie B
«Nel calcio si deve costruire una squadra per battere l’altra, non è tanto complicato. Si deve cercare di vincere, anche in serie B».

Ha ancora voglia di allenare?
«Sono contento di quello che ho fatto. Negli ultimi anni mi sono dedicato di più alla famiglia, alle amicizie. Più avanti vediamo. Dipende da tante cose. Ho avuto offerte in America e nei Paesi arabi. Ma deve scattare un clic nella mia testa. La parentesi di Roma è stata una delle poche delusioni che ho avuto. Ma in quella stagione, se non ricordo male, eravamo sei allenatori stranieri e questo non andava bene…».

Chiudiamo con un pensiero per i tifosi della Roma
«Devono avere fiducia in Luis Enrique e la società deve sostenerlo, come non è accaduto con me. Dei tifosi della Roma conservo un ottimo ricordo, loro non sono mai stati contro di me…».

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