(A.Ghiacci) – Appendere qualcosa, una scritta, la foto di un avversario, un promemoria negli spogliatoi di una squadra. Mossa valida oppure no? Ne abbiamo parlato con il dottorGiuseppe Raso, psicologo con particolare interesse per il calcio e lo sport in generale. Partendo dallo stimolo che può dare o meno l’avere sempre a portata di sguardo la frase di un avversario che prende in giro il gruppo: «Stimolare così una squadra? No, non sono d’accordo. Un calciatore non ha bisogno di slogan per dare il meglio. Semmai va convinto dell’importanza di fare al meglio il proprio lavoro insistendo sulla presa di coscienza di questo. Sull’applicazione e il sacrificio che ci vogliono giorno dopo giorno per sé e per la propria squadra. Attraverso valori di sportività e agonismo» .
MESSAGGIO – Il problema, secondo il dottor Raso, è che attraverso un messaggio del genere, si possa andare a toccare delle corde sbagliate: «Sì, perché si svilisce il ruolo del calciatore stesso, che non deve mai agire per rivincita. Si tratta di forme di suggestione, sbagliate a prescindere» . Il discorso ovviamente si allarga e comprende anche il linguaggio del calcio in generale, altra nota dolente. «Secondo me andrebbero abbassati i toni – dice ancora il dotto Raso – il linguaggio del pallone sta un po’ scadendo, sempre alla ricerca del risultato tramite l’annientamento dell’avversario attraverso qualsiasi mezzo. E così non si lavora bene, non è questa la strada. Il calciatore, come qualsiasi altro lavoratore, va portato all’applicazione e all’impegno. Puntando sì sul gioco di squadra, ma anche sul rispetto dell’avversario. Altrimenti il rischio è quello di un carico eccessivo di tensione che può sfociare in alcuni comportamenti aggressivi durante la prestazione sportiva» .