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CORRIERE DELLO SPORT. “Piccolo come Tancredi ma anche io in serie A!”

Massimiliano Benassi

(F.M.Splendore) – Max Benassi ha fatto la trafila dai dilettanti. Max Benassi ha conosciuto la serie A a 29 anni. Max Benassi è quello che ha fatto l’esordio e nello stesso giorno ha preso anche il primo cartellino rosso della sua vita. Max Benassi ha firmato per un anno e a giugno 2012 sarà libero: «Ma ora non ci penso» , dice. Max Benassi tifa Roma da sempre e veste il giallorosso Lecce. Max Benassi ha lottato a testa bassa contro 178 centimetri, la sua altezza, che per tanto tempo è sembrata essere la sua peggior nemica, ma che invece è stata la molla che lo ha portato in A.

Ora che fa, li va a cercare quelli che dicevano: “bravo, ma basso…”?

«E pensare che me lo sentivo dire e mi dicevo: “questi non sanno che più me lo dicono, più mi danno la carica”. Capirà, sa chi era il mio idolo da piccoletto? Paravo in strada e dicevo: Tancredi! Potevo scoraggiarmi per essermi fermato più o meno alla sua altezza? Anzi…».

Qualche bocciatura illustre?

«Quella della Lazio nel 1996, o quella del Bologna. Cose che sembravano fatte e che tramontarono all’ultimo momento».

Come si arriva a 29 anni sperando nella serie A?

«Con la mia costanza, con l’amore che ho per questo mestiere».

Come si arriva a Lecce a 29 anni?

«Mi chiama il mio manager Luca Urbani e mi dice che De Canio mi ha fatto vedere. Nel frattempo la mancata iscrizione del Perugia al campionato, diventa la mia occasione perché sono libero e non costo più nulla. E guardi che mi è costato perché il Perugia è una squadra che ho ancora nel cuore».

Così?

«Così facciamo 800 chilometri in macchina con Luca, faccio le scale della sede del Lecce e mi sembra di scalare il Monte Bianco, vedo Fenucci e De Canio e firmo. E piango un po’: di gioia».

A De Canio deve molto: esordio compreso.

«Lo ringrazierò per tutta la vita. Lui e Filippo Orlando che mi venne a vedere più volte».

Certo, quell’esordio macchiato dal “rosso”…

«Quanto mi ha segnato! C’erano mia moglie Francesca, straordinaria per come mi sopporta, e mio figlio Gianmarco, la ragione della mia vita. Un rosso esagerato: poi io, mai espulso in vita mia… Certe volte il destino ti aspetta».

Il presente. Il Lecce si salva?

«Dobbiamo riuscirci. E la molla deve essere la forza dell’incoscienza che sta negli esordienti o quasi. In questa squadra ci sono tanti giovani. Un segnale lo abbiamo dato a Cesena. E sono contento per il nostro tecnico, Di Francesco: una grande persona e un tecnico molto bravo».

La vittoria a Cesena e la sua parata su Mutu lo hanno ripuntellato alla panchina.

«La vittoria, la mia parata senza la vittoria non sarebbe servita a nulla. Eppure io vi dico che ho avuto Allegri a Sassuolo ed ho apprezzato la sua capacità di gestire gruppo e situazioni senza inventarsi chissà che. Non avevo dubbi che avrebbe fatto bene al Milan. E il modo di fare calcio di Di Francesco somiglia al suo».

Parliamo di Roma? Del suo tifo per la Roma?

«Ero bambino. A Trivigliano, il mio paese in provincia di Frosinone, sono tutti romanisti e juventini: i miei fratelli, Daniele e Alessandro, sono giallorossi e mio padre Roberto è bianconero (la mamma Simonetta, di calcio mastica poco, n.d.r.). La passione è nata lì».

E la fuga per Roma-Parma dello scudetto 2001?

«Avevo giocato a Voghera con il Poggibonsi, era sabato sera, domenica ero all’Olimpico a far festa».

La sua Roma che eroi ha?

«Troppo facile: Giannini e Totti. Totti su tutti, direi. Potrei dire anche Aldair. Poi mi allena Fabrizio Lorieri, ex giallorosso; di Tancredi vi ho detto».

Luis Enrique: la sua idea?

«Un grande allenatore, uno che sta portando qualcosa di nuovo in un calcio, il nostro, che non è più ai vertici dell’Europa. E credo che una delle cause sia il continuo cambio di allenatori, l’assenza di progetti. Quello della Roma è un progetto».

E adesso che incontra la Roma che fa?

«Sarà la prima volta perché l’anno scorso ero in panchina. Che faccio? La batto. Anzi, magari. Diciamo che ci provo. Un Lecce ci è riuscito, era l’86, mi pare…».

E lei sarebbe romanista? Così cinico? Non c’era…

«No, avevo cinque anni, troppo presto. E poi sono un professionista e questa partita voglio prepararla molto bene».

La scuola portieri italiana è sempre in forma?

«Guardate De Sanctis, il mio amico Rosati, cito anche Bressan a Varese in B. E ci metto Antonioli, il portiere della mia Roma scudettata: voglio arrivare a 42 anni come lui. Dovete dirmi, tolti Dida, Julio Cesar e Handanovic, quale portiere straniero ha fatto la differenza in Italia».

La sua classifica attuale?

«Handanovic è il mio preferito, lui e De Sanctis i migliori».

E Buffon?

«Lui che c’entra, è un monumento. E un gentiluomo. Vi racconto questa: gli chiedo la maglia a Lecce-Juve l’anno scorso, lui viene espulso, esce prima imbufalito e va via. Io torno negli spogliatoi e Vives mi dice: “Buffon ti ha lasciato questa”. Era la sua maglia. In quanti se la sarebbero ricordata?».

Ieri è stato il suo compleanno. A Roma-Lecce si farà un regalo con un’altra parata-top: magari su Totti?

«E’ Roma-Lecce, non Totti-Lecce. Certo, se gli paro un gol al 90’ e vinciamo uno a zero…».

 

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