(A.Catapano) – È una storia di neuroni ed esercizi, con una domanda di fondo: fuoriclasse si nasce o si diventa? Le capacità derivano dalla materia cerebrale o aumentano con il lavoro? Gli studiosi si dividono. Le ultime ricerche, pubblicate ieri da Repubblica, premiano i talentuosi rispetto ai faticatori, quelli con i neuroni giusti, che hanno più memoria attiva e, dunque, riescono a immagazzinare più dati nello stesso tempo. Super lavoro La cosa coinvolge Rodrigo Taddei, anzi lo riguarda particolarmente. Vi sembra strano? Pensateci. Se dovete associare il concetto di stakanovismo ad un giocatore della Roma, chi vi viene in mente? Taddei, «un grande lavoratore, un professionista esemplare, un modello per tutti» dicono di lui. Chiunque lo abbia conosciuto e visto all’opera, non può che parlarne bene. La nuova dirigenza se ne è accorta presto (e del resto fu proprio Franco Baldini a metterlo sotto contratto con la Roma), e anche Luis Enrique, finalmente, se n’è reso conto. Lo avete ascoltato domenica sera, dopo la prestazione super con il Lecce? «Rodrigo è stato uno dei migliori in campo, ma non se sono affatto stupito: lui è davvero un grande professionista, gli faccio i complimenti». Super genio Non solo un grande professionista, però. Pure un talentuoso, a suo modo un fuoriclasse, con capacità innate. E i neuroni giusti. Dite di no? E come vi spiegate allora questa ennesima rinascita, in un ruolo mai ricoperto in passato? Rileggete la ricerca.
Il talento di Rodrigo Taddei sta proprio nella sua memoria attiva. Nella capacità di apprendimento e, di conseguenza, adattamento mostrata in questi mesi. Quanti altri centrocampisti (seppure completi) si sarebbero riciclati terzini a 31 anni in così poco tempo? E senza battere ciglio, senza fare danni, anzi in sole tre partite passando da una prestazione non più che dignitosa (a Milano, contro l’Inter) ad una prova in crescendo (a Novara, dopo una prima mezz’ora da incubo) fino al migliore in campo e assist man (domenica, contro il Lecce). Come se avesse fatto il terzino sinistro tutta la vita, e che terzino. Magari con qualche movimento difensivo da registrare, ma vuoi mettere con i buchi neri di Josè Angel? Che, infatti, da due partite si accomoda in panchina, a fare quello che faceva Rodrigofino a due settimane fa: il tifo per i compagni. Super felice Mai una protesta, nemmeno una lamentela, lo stesso impegno negli allenamenti, anche quando non veniva convocato e si sentiva, questo sì, un po’ umiliato da Luis Enrique. Centrocampista? Macché. Al limite terzino, se e quando servirà. Taddei, zitto, ha continuato a lavorare. E oggi, dopo la seconda presenza consecutiva e chissà se in vista di una promozione definitiva, è l’unico brasiliano superstite nel gruppo dei titolari o quasi; è l’unico sopravvissuto della vecchia guardia (gli altri erano tutti in panchina domenica); è di nuovo in discussione il suo futuro (Roma? In che ruolo? Altrove?); è soprattutto un uomo fiero di se stesso e un calciatore felice. «Da esterno mi diverto — ha detto domenica sera —, questo ruolo ormai me lo sento addosso. Il calcio è gioia, divertimento, è la mia vita». In qualunque ruolo. Bastano i neuroni giusti.