(M.Ferretti) Tutto si sarebbe aspettato, Daniele De Rossi, tranne che tornare a giocare nel suo Olimpico con la maglia azzurra, cinque anni abbondanti dopo quell’Italia-Ucraina del 7 ottobre del 2006 con il 10 dell’amico Francesco Totti sulle spalle, senza un contratto con la Roma. E la faccenda, a ben pensarci, è strana assai. Con o senza la fascia al braccio (la Figc ieri ha precisato che il capitano sarà ancora Gianluigi Buffon, alla 112esima presenza in azzurro come Dino Zoff), De Rossi sarà uno dei protagonisti dell’amichevole contro l’Uruguay: perchè giocherà nella sua città e, probabilmente, davanti a un sacco di suoi (e della Roma) tifosi. Un leader senza contratto, De Rossi. La situazione è nota a tutti, da tanto, troppo tempo: accordo fino al 30 giugno del prossimo anno e basta, per ora. Da mesi si sta cercando di arrivare alla firma, ma ogni tentativo – per una questione economica, l’ha detto chiaramente lo stesso DDR – non è andato a buon fine. Ci si aspettava un’accelerazione dopo l’arrivo a Roma di Franco Baldini («Il contratto di De Rossi è una mia priorità», ricordate?), invece ancora niente. In verità, va aggiunto che le due parti non sono più distanti come qualche mese fa; che sia la Roma che il giocatore (che continua a sentire solo e soltanto il club giallorosso, per ora) hanno fatto un passo l’uno verso l’altro, ma l’accordo è lontano. E il giorno in cui De Rossi potrebbe ufficialmente accordarsi con un altro club (fine della prossima sessione invernale del calciomercato), è sempre più vicino. Non v’è dubbio che la Roma (i dirigenti l’hanno dichiarato pubblicamente decine di volte) abbia intenzione di confermare De Rossi, così come è strasicuro che Daniele penda da una certa parte, quella giallorossa: ciò che non è ancora chiaro, è come mai – visto che l’obiettivo di società e calciatore è lo stesso – non si sia ancora arrivati ad una svolta. Questione di soldi, certo. Ma che cosa deve accadere affinchè si arrivi al nero su bianco? Ecco quello che non è chiaro. Chi deve rimetterci, usando un verbo forse esagerato? Al di là dei passettini l’uno verso l’altro, la trattativa appare ancora (troppo) una battaglia di posizioni. E, per questo, dai contorni (e dalle conclusioni) indefiniti. In attesa di novità (dopo la partita contro l’Uruguay ci sarà un altro incontro tra l’agente Sergio Berti e la Roma), De Rossi si prepara ad affrontare la sua seconda partita in azzurro a Roma. Cesare Prandelli, sabato, è stato perentorio:«Essendoci Pirlo, Daniele continuerà a giocare da intermedio». Cioè come ha giocato con la maglia della Roma in avvio di partita a Novara, con Gago centrale davanti alla difesa: doppio DDR, insomma, e non v’è dubbio che l’esperienza accumulata con l’Italia gli verrà utile (a lui e a Luis, atteso domani sera in tribuna) anche con la Roma. E viceversa, dato che Daniele ha dato prova di massima affidabilità in entrambi i ruoli. Giocando contro l’Uruguay, domani De Rossi festeggerà la settantesima presenza nella nazionale A. Le stesse di Sandro Mazzola. Un gradino più avanti ci sarà un campione del mondo come lui, Claudio Gentile, poi tre gradini più in alto altri tre iridati, Giancarlo Antognoni, Antonio Cabrini e Rino Gattuso. Non serve la presenza numero 70 per certificare che De Rossi si è ritagliato da tempo uno spazio ben ampio nella storia dell’Italia. Campione del mondo nel 2006 a Berlino, cioè a 23 anni, adesso davanti a sè nella classifica degli azzurri di tutti i tempi ancora in attività (e convocabili) ha soltanto l’amico fraterno Pirlo, 81 partite, oltre a Buffon. Un vero e proprio veterano, anche se in luglio ha compiuto solo 28 anni. Un giocatore, che da Marcello Lippi a Roberto Donadoni fino a Cesare Prandelli, è stato sempre considerato un punto fermo della Nazionale. E, anche per questo, apprezzato in ogni angolo d’Europa e del mondo. Estimatori non gli mancano; gli manca, se mai, di legarsi a vita alla Roma. Siamo, al di là di tutte le chiacchiere e previsioni, al momento-chiave della faccenda. Lo sa Daniele, ma soprattutto lo sa la Roma.