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IL ROMANISTA. “Ago, bello rivederti”

Di Bartolomei

(P.Castellani) – “Lui spezza l’incantesimo ancora giovane/ risvegliandosi fugge da questo sogno di vita/ e ci lascia addormentati/ Tormentato, accecato, consumato/ dal pallido fantasma che mostra devastazione/ lui scivola via da questa terra ombrosa di dolore/ […] dove l’età distrugge la speranza”. Tra la primavera e l’estate del 1994 Robert Smith, anima e compositore di ogni poesia in musica dei Cure, scriveva questi versi (poi pubblicati nel 1996), ispirandosi all’ode (Adonais) dedicata da Percy Bysshe Shelley al compianto di John Keats, morto giovanissimo a Roma, nella casa che da allora sarà per sempre un museo dedicato ai due più grandi poeti romantici inglesi, in piazza di Spagna. In quegli stessi giorni, anzi un giorno che ben conosciamo, Agostino Di Bartolomei veniva portato via all’improvviso dalla malattia più infida che esista. Tornano in mente queste parole ascoltando Marisa Di Bartolomei raccontare del suo allucinante risveglio la mattina del 30 maggio 1994. Lei addormentata, un colpo ovattato, immagini all’improvviso sfocate, ma che è impossibile cancellare dalla memoria. Colpisce, di tutto lo splendido documentario di Francesco Del Grosso, il soffermarsi sui volti di Marisa, Luca Gianmarco: la famiglia di Ago. Il film è un viaggio verso il cuore di un uomo attraverso gli occhi di chi lo ama, ancora più che attraverso le immagini, giustamente poche, della sua carriera o i racconti di colleghi e amici. “In silenzio guardo il leggero sorriso del cielo/ e senza un fiato ascolto il profondo respiro del vento./ ’Impedisci che la vita separi ciò che la morte può unire’”. È la voce di Adonais. Non c’è altra soluzione all’amore perduto, al senso di oppressione, al rifiuto del mondo che pareva tuo? Solo la sua morte poteva ricordare a Roma l’amore per Ago? “Agostino lo abbiamo capito dopo”, ha detto ieri un suo amico. Forse, purtroppo, è davvero così per tutti. Allora è giusto ricordare, e far conoscere a chi non c’era. Ieri in platea c’erano tre ragazzi che sognano il loro futuro, ora tra Primavera e prima squadra. Caprari, Viviani, Verre. Che sognano un futuro che li veda capitani e romanisti. A loro parlerà ancora Agostino. A loro avrebbe parlato se la rivoluzione fosse iniziata quasi venti anni fa. Se il calcio fiero, pulito, sempre sincero e che andava dritto sulla sua strada come una bomba su punizione di Ago avesse trovato il posto che meritava. Se lui avesse saputo proporlo con la forza di un rigore e con la chiarezza di un suo lancio da trenta metri. Se. Che è quella roba con cui non si fa la storia e la vita degli uomini. La si fa a volte con la poesia. “Perché volgersi indietro, perché appartarsi, o Cuore?/ Le tue speranze sono sfuggite, si sono distaccate da tutte queste cose/ ora anche tu dovresti. Dall’anno che si volge, dall’uomo e dalla donna/ si è già staccata una luce./ E le cose che ancora sono care attraggono soltanto per schiacciare, respingono per disseccare il tuo spirito”. Shelley. Quanto ti abbiamo voluto bene, Capitano, quanto te ne vogliamo, quanto vorremmo ogni giorno essere Carletto Ancelotti e correre ad abbracciarti e sollevarti, confondendo le nostre lacrime di gioia con le tue come quel Primo maggio del 1983, contro l’Avellino..! Che bello rivederti nello sguardo di tuo figlio, nelle parole taglienti e dignitose di tua moglie. Hai accompagnato i sogni di una generazione di ragazzini che ora sono più grandi di te quando ci hai lasciato. Ma che bello sapere che non saremo solo noi a ricordarti agli altri. Francesco Del Grosso, il regista, aveva due anni quando Agostino andò via da Roma, dodici quando si uccise. Più o meno la stessa età che aveva Luca, il figlio di Ago. Ieri ci ha ricordato che questo documentario non può essere un risarcimento. È semplicemente una cosa che andava fatta, e che è stato possibile fare grazie alla splendida disponibilità a ripercorrere una strada così dolorosa da parte della famiglia. E noi tutti che “eravamo in Curva Sud” a cantare il nome di Ago e che ancora l’amiamo ve ne siamo grati.

 

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