(D.Galli) – Il tragico evento è una cazzata. Il tragico evento è quando un albero cade su un’auto, non quando un poliziotto fa il cowboy, spara dall’altra parte dell’autostrada e ammazza un ventiseienne. Quello non è un tragico evento. Quello è un omicidio.
E così la pensa anche Maurizio Martucci. «Ha ragione. In questi quattro anni abbiamo fatto di tutto, come Fondazione Sandri, per cambiare la percezione dell’opinione pubblica sull’omicidio di Gabriele. Proprio oggi ho letto però sulla Stampa che Gabbo è morto dopo uno scontro tra ultras. Evidentemente, ci sono ancora delle zone grigie nell’informazione». Martucci non è semplicemente l’autore di “11 Novembre 2007, l’uccisione di Gabriele Sandri una giornata buia della Repubblica”, oltre che di una serie di pubblicazioni che raccontano il mondo delle curve italiane. È di più. È un amico della famiglia Sandri e per la Fondazione è responsabile sia della Biblioteca del Calcio, sia del Festival Nazionale della Cultura del Calcio.
Martucci, cosa è cambiato in Italia in questi quattro anni senza Gabriele?
Non parlerei di cosa è cambiato, ma di cosa stiamo facendo come Fondazione Sandri perché cambi.
Cambi cosa?
Lavoriamo perché sia diversa l’attenzione dell’opinione pubblica su casi come quello di Gabriele. Finora abbiamo cercato di far sì che c a m b i a s s e p r o p r i o questo: la percezione che si è avuta tra i mass media dell’omicidio.
C’è chi ancora parla di “tragico evento”.
Esatto, ha ragione. Crediamo di aver fatto tutto il possibile per ricollocare nella giusta dimensione questa realtà. Eppure, proprio oggi (ieri, ndr) ho letto sulla Stampa che Gabbo è morto dopo uno scontro tra ultras. Evidentemente, ci sono ancora delle zone grigie nell’informazione.
Giovedì prossimo, Giorgio Sandri andrà a Trigoria per studiare un’iniziativa che coinvolga la Roma. Quanto è importante il ruolo della società giallorossa?
Non è importante, è importantissimo. La solidarietà della Roma, una società per la quale Gabriele non tifava, impreziosce il gesto. Serve a dimostrare che si può andare oltre i colori. Finora hanno messo il logo della Fondazione la Lazio e il Parma. Adesso lo faranno anche Triestina, Cremonese e Padova. E nel basket, la Virtus Roma.
La Virtus?
Domenica ricorderà Gabriele. Il logo non apparirà sulla maglia, perché la divisa della Virtus Roma è già abbastanza ingolfata di sponsor, ma sui dei maxischermi.
Non trova assurdo che le conseguenze di uno sbaglio di una scheggia impazzita dello Stato siano ricadute sulle curve italiane?
Sicuramente la potenza della drammatica vicenda di Gabriele ha fatto capire che il tifoso, prima di essere un tifoso, è un cittadino. E noi, come Fondazione, stiamo facendo di tutto per far uscire il tifoso da questa sorta di segregazione culturale che lo pone ai margini del sistema calcio. Perché noi, all’opposto, lo consideriamo una figura centrale: il calcio è storia, identità, tradizione. Sono radici popolari. È antropologia. Al momento, invece, il tifoso è solo un lato del triangolo i cui altri due lati sono l’isteria normativa e il prodotto commerciale.
Quindi, come Fondazione siete contrari alla tessera del tifoso.
Siamo assolutamente contrari alla mercificazione del tifoso. Sulla tessera auspichiamo che il prossimo Governo apra un tavolo di concertazione allo scopo di uscire da questo clima emergenziale che si respira nelle tifoserie.
Per l’assassinio di Gabriele, l’agente di polizia Luigi Spaccarotella è stato condannato dalla Corte di Assise di Appello di Firenze a 9 anni e 4 mesi di reclusione per omicidio con dolo eventuale. Quando è previsto il giudizio di Cassazione?
Si terrà il 14 febbraio 2012. Per quel giorno ci aspettiamo il verdetto definitivo. Secondo noi, ci sono i presupposti perché sia confermata la sentenza di appello.
Lei non è uno dei familiari. Ma è sicuramente vicinissimo al papà Giorgio, alla mamma Daniele e al fratello Cristiano. Pensa che sia possibile perdonare Spaccarotella?
Il perdono è un sentimento intimo, personale, non sindacabile da persone terze. Detto questo, a quattro anni dall’omicidio, lo Spaccarotella (Martucci dice proprio così: lo Spaccarotella, e quanto pesa a volte un articolo determinativo, ndr) non ha mai voluto approcciare con la famiglia Sandri. E men che mai chiedere perdono. Ora è giunto il momento che espii la sua pena in una delle case circondariali del nostro Paese.