(G.Martino) Sul cosiddetto bel gioco della Roma c’è un grosso equivoco, creato ed alimentato mediaticamente da commentatori, spesso superficiali, talvolta compiacenti: lo si confonde col possesso palla. Si dice e si scrive, molte volte ripetendo a pappagallo concetti orecchiati da chi non ha neanche visto le partite, che siccome la Roma ha tenuto più a lungo dell’avversario la palla, vuol dire che l’ha dominato. Ma è proprio così? Può bastare far girare la palla in zone non nevralgiche come la propria tre-quarti , dovendo il più delle volte far ripartire l’azione col rinvio o l’appoggio corto del portiere, per affermare di aver messo sotto l’avversario? Avversario che raramente ti fa entrare nella sua area perché quando i giocatori della Roma cercano di avvicinarsi, è già da tempo schierato ed ha chiuso tutto gli spazi, per cui, se va bene, si ricomincia da dietro, se va male si perde la palla e si subisce il contropiede, quello sì , veramente pericoloso.
Ecco, la pericolosità: una volta il concetto di bel gioco era associato alla capacità di una squadra di creare situazioni di pericolo dell’area di rigore avversaria, e di evitare che lo facessero gli altri. Sembra un concetto superato come se su questo equivoco se ne fosse innestato un altro generazionale per cui chi non apprezza questo calcio “moderno” è vecchio perché rimpiange il buon senso, la linearità, la concretezza, la semplicità di un calcio col quale, tuttavia, sono stati vinti scudetti, coppe e titoli mondiali, senza dover necessariamente fare dolorose rivoluzioni. Potrà anche essere “moderno”, ma un calcio che ignora quasi totalmente la fase difensiva, che non prevede un certo tipo di marcature nella propria area di rigore, o una protezione accanto ai pali della propria porta in occasione di angoli o palla inattiva, va incontro al rischio di subire gol inaccettabili come gli ultimi contro Genoa e Milan. Ai meno giovani (e sono fra costoro) viene in mente il caro Ettore Scapigliati, dirigente giallorosso super tifoso (al punto di affermare: “odio il cielo perché è biancoceleste”) che al termine di trasferte finite male, diceva con romanissima ironia: «Abbiamo lasciato un’ottima impressione … e i due punti!».
A questo punto incuriosisce capire se si tratti veramente di un fatto generazionale, una sorta di conflitto di vedute legato all’età: veramente tutti i giovani (siano essi commentatori, tifosi, lettori di questo giornale) pensano che la Roma abbia un bel gioco, mentre i vecchi (delle stesse categorie) sono scettici? Oppure quei concetti di pericolosità e di concretezza possono ancora essere trasversali? Per restare ai problemi dell’età, è stato detto che la Roma di oggi è troppo giovane e bambina per poter competere con una squadra consolidata come il Milan, il che sarebbe anche condivisibile se non fosse che l’inconveniente si è verificato pure con Slovan, Cagliari, Siena, Genoa che così “consolidate” non sembrano. Appare logico il desiderio della nuova Società di dimostrare una soluzione di continuità col passato, nella impostazione, nei dirigenti, nei tecnici, perfino nei giocatori (con palese insofferenza nei confronti della “vecchia guardia”); meno logica sembra questa rottura tecnica con canoni calcistici collaudati compreso un eccessivo e non sempre giustificato ricorso alla rotazione di una trentina di calciatori che finisce per frastornare non solo i “vecchi” osservatori, ma anche gli stessi giocatori. Oggi coloro che vogliono sempre e comunque giustificare l’allenatore parlano di tentativo di coinvolgere tutta la (sovrabbondante) rosa; un tempo si sarebbe parlato di mancanza di chiarezza di idee.