(M.Macedonio) – «Seguo con grande attenzione e stima il lavoro di Luis Enrique». E’ una dichiarazione di apprezzamento incondizionato, quella di Arrigo Sacchi nei confronti del tecnico giallorosso.
«Lo dico anche in qualità di coordinatore delle nazionali giovanili di calcio, e quindi con il forte interesse che il calcio italiano possa evolversi attraverso nuove strade. Per noi – continua l’ex ct azzurro, vicecampione del mondo – questo è davvero un esperimento molto, molto interessante».
E’ stato anche a Riscone, quest’estate, a seguirne il lavoro, non lesinando già allora i propri complimenti. Come spiega, quindi, le attuali difficoltà in cui trova a dibattersi lo spagnolo?
Trattandosi di situazioni che conosco bene, avendole vissute a mia volta, sulla mia pelle, so quanto sia importante la comprensione, la pazienza, la competenza e la stima della società. Una società che non ti tolga mai autorevolezza, ti dia sicurezza e tranquillità, e ti organizzi tutt’attorno qualcosa di positivo. So anche, però, quanto è difficile tutto ciò, quando si arriva in un ambiente in cui hai tanti giocatori bravi, ma di caratteristiche diverse e “figli” di altrettanti progetti diversi. E quindi, non tutti funzionali al tuo progetto tecnico. Questo è un primo problema.
Partiamo da qui, allora, e vediamo di sviscerarlo.
Quello che è importante non è avere i giocatori più bravi. Certo, se li hai, è meglio. Ma se non ci sono, pazienza. L’importante è invece avere un gruppo che sia prima di tutto molto animato. Con una grande passione, un grande entusiasmo e dove tutti sono coinvolti nel progetto. E’ inutile che sogni la società, o che sogni l’allenatore, se non sognano per primi loro, i giocatori. Perché il sogno non si avvererà mai.
Da questo punto di vista, le premesse sembrano esserci, almeno per quanto riguarda l’atteggiamento della Roma e quello di molti giocatori.
Ribadisco: quando c’è una società di questo tipo e persone molto motivate, si è già molto avanti. Se poi l’allenatore ha delle idee importanti, ed è in grado di dare alla squadra, tatticamente, un gioco di alto livello, in quel momento vince. Ma se non ci sono le due premesse, ovvero società e giocatori motivati, non si va da nessuna parte.
Anche il suo Milan non partì benissimo, il primo anno…
Mi sembra di ricordare che, sotto Natale, quando perdemmo in casa proprio dalla Roma per il famoso petardo (13 dicembre 1987, 0-2 a tavolino, con Tancredi stordito e Peruzzi all’esordio, ndr), fossimo intorno all’ottavo o decimo posto in classifica. E poi, vincemmo il campionato (straordinaria la rimonta sul Napoli di Maradona, campione d’inverno, ndr)».
Cos’è che non va, nella Roma, in questo momento?
La sensazione che ho è che l’allenatore stia cercando di trovare degli “accomodamenti” con quelle che sono le sue idee. Questo, a mio parere, è un errore. Ma la sensazione ancora più grave è che ci siano alcuni giocatori che non solo non sono funzionali al progetto, ma sembrano anche poco coinvolti sotto il profilo motivazionale. E questo è il motivo per cui la Roma non decollerà fino a che non avrà fatto pulizia al proprio interno, tenendo tutti quei giocatori per i quali la partita e il proprio impegno sono un elemento imprescindibile.
Gioca un ruolo anche l’inesperienza di alcuni giovani, o gli errori prescindono dall’età?
Ho visto gli ultimi gol presi dalla Roma e, effettivamente, vi sono state delle gravi disattenzioni e amnesie. Questo succede, però, solo perché la motivazione non è così straordinaria come dovrebbe essere.
C’è il rischio che il mancato arrivo dei risultati possa contribuire a demotivare qualcuno all’interno del gruppo?
Credo che in questo momento ci sia solo un po’ più di confusione. Intanto, complimenti ai tifosi della Roma, che sono quelli che per primi hanno percepito che, quando in un calcio come il nostro, così vecchio e stantio, arriva qualcosa di diverso, è chiaro che si eccita la fantasia e si suscitano nuove emozioni. E quindi, anche la pazienza c’è. E questo è un bene. Ora, c’è bisogno che la società e l’allenatore riescano a coinvolgere i giocatori. Lasciando fuori dal progetto quelli che non si riesce a coinvolgere, magari perché semplicemente non vogliono esserlo.
E’ solo un problema di convinzione dei singoli giocatori?
Ce ne sono anche altri, ma tutti risolvibili quando ci sono le giuste motivazioni. Ad esempio, avere una tempistica di gioco più corretta, perché la Roma non ha attaccanti così abili nel dribbling come ce li ha il Barcellona. E’ evidente, quindi, che devono essere più bravi nello smarcamento, così come nel sapersi congiungere con gli altri giocatori e andare negli spazi nei momenti giusti.
L’idea di gioco della squadra, dunque, le piace, la intriga…
Sicuramente. Ma trovo che oggi abbia perso anche quello stupendo possesso palla che le avevo visto fare all’inizio, anche se a volte forse eccessivo…
Ad Enrique è stato rimproverato che fosse un po’ troppo fine a se stesso, sterile, non finalizzato alla verticalizzazione e alla conclusione.
Ma sono le sue idee. E ha il dovere di difenderle. E se vuole accontentare la gente e chi gli chiede di cambiare, deve sapere che fa, come minimo, una cosa “vecchia