In tante cose si assomigliano, Luis Enrique e Antonio Conte. Quasi coetanei, più giovane di un anno lo spagnolo. Entrambi alla prima panchina importante, incaricati di rifondare, forti di solide convinzioni tattiche, che puntano alla qualità del gioco e al dominio del campo. Agire, non reagire. Infatti Juve 61,1% e Roma 59,5% sono le squadre che vantano più possesso palla dopo il Milan 62%. La differenza è che con quell’ora di palla al piede, Conte ha fatto 29 punti e 24 gol, Luis Enrique 12 punti e 9 gol in meno. Probabilmente c’entra anche la disponibilità dello juventino a ricredersi e a modificare, che il romanista deve ancora dimostrare. Ma c’è una differenza ancora più netta tre i due: l’empatia, direbbe Mourinho; il feeling con la squadra. Ieri mentre Conte annunciava: «Prendetevela con me, lasciate stare i giocatori. Sono miei fratelli»; Luis Enrique doveva rispondere a un’altra domanda su Borriello, uno degli scontenti. Gli è scappata una parolaccia e il controllo dei nervi.
Due fattori hanno agevolato il lavoro di Conte. Primo: è cresciuto in casa. Gode del credito che si deve a un ex capitano di successo. In calzoncini corti ha già dimostrato di sapere vincere. Luisito è arrivato da un altro Paese, con un’altra lingua e altri metodi. E’ arrivato straniero ed estraneo nella Roma di Totti, che festeggiò il Mondiale 2006 con un cappello giallorosso in testa; nella Roma di De Rossi, che si è fatto stilizzare il Colosseo sulle scarpe da gioco. Difficilmente altrove si celebra di più la mistica dell’appartenenza. Secondo fattore: la Juve ha alle spalle stagioni sciagurate, che Conte si preoccupa di ricordare spesso, con il suo memento mori: «Ricordatevi che veniamo da due settimi posti». La Roma ha ancora fresche le emozioni per le recenti lotte scudetto, per le Coppe Italia e le Supercoppe vinte, per il bel gioco di Spalletti. A dispetto della storia, oggi è più di bocca buona il tifoso juventino che quello romanista.
Anche per questo, se Conte a Napoli osa un assetto discutibile, va sotto e non lo cambia, la squadra tira dritto con fede, sputa l’anima e rimonta due volte un doppio svantaggio. Chiaro che poi Conte tuoni: «Guai se mi toccate i Giaccherini!» Oggi la Juve e Conte sono un respiro solo. Se ne è accorto anche Luis Enrique, che sospira d’invidia: «Conte ha insegnato ai suoi giocatori a sacrificarsi». Se invece Luis Enrique prova inventarsi qualcosa, in spogliatoio diventa subito Zichichi, genio imperscrutabile. Perché Borriello non gioca dal 26 ottobre se la Roma segna così poco? Non è stata compresa neppure la sospensione di Osvaldo, che ha rosicchiato via altra empatia. Ma non vuol dire che gli giochino contro. Anzi. Molti, anche tra i tifosi, raramente così pazienti, continuano a credere nella rivoluzione dello spagnolo, oggettivamente affascinante. Luis ha restituito la palla alla Roma, l’ha spinta avanti sempre e ovunque, ha messo le ali ai terzini, ha avuto il coraggio di normalizzare Totti, di imporre regole per tutti, di cambiare gli orari di Trigoria e riportare carichi di lavoro dimenticati. E di parlare chiaro. Gli mancano i risultati. Ieri Luisito ha ragionato di dimissioni. Ma se stasera batterà il gemello Conte, forse l’eterna Roma accetterà l’idea di farsi rifondare da uno spagnolo.
Fonte: Gazzetta dello sport