(M.Cecchini) Sul treno dei desideri che porta la Roma a Firenze c’è un comandante di nave. Non è il presidente Tom DiBenedetto (comunque al seguito), ma qualcuno a cui sembra essere stato cucito addosso un ruolo difficile. Si chiama Luis Enrique, di professione allenatore, che — dal caso Osvaldo in poi — prova a spiegarsi così. «È la punta che ha più minuti e mi dispiace perché Daniel (che comunque sarà a Firenze con la famiglia, ndr) è un bravissimo ragazzo e questa scelta punisce anche la squadra, ma tutti devono sapere che c’è qualcuno che comanda la nave». Il corollario giunge più tardi: «Se vinciamo sarò meraviglioso, altrimenti sarò una merda».
NIENTE DITTATURA Odori a parte, il rischio c’è tutto, ma Luis Enrique diffida da suggestioni franchiste. «Questa non è una dittatura. La cosa più facile sarebbe stata fare una multa, ma lui rappresenta la società. Non sono io che faccio uscire le cose dallo spogliatoio, però è giusto che i tifosi sappiano i motivi delle esclusioni. Come posso controllare un gruppo se non ci sono regole? Se combina qualcosa Barusso lo metto su un albero e a Totti invece stendo il tappeto rosso? Conta il gruppo. Io non cerco di essere simpatico o antipatico, voglio essere solo me stesso. Posso anche sbagliare, ma è il mio pensiero». E ai primi dubbi che serpeggiano fra i tifosi sulla sua caratura tecnica, replica: «Io sono un buon allenatore, se no non sarei qui. Sento la fiducia della gente che incontro e la vedo quando parlo ai miei calciatori. Un’altra cosa è cosa faremo riguardo ai risultati, quello non lo so. Ma farò tutto il possibile per intraprendere la strada che di cui credo abbiamo bisogno». Il peso psicologico comunque è grande. «Devo migliorare in tutto. Per questo mi costa dormire. Quando ero al Barcellona e facevo risultati meravigliosi, pensavo lo stesso. È la mia malattia, perciò il calcio mi logora».
RISCHIO TOTTI Inutile dire che le sue idee non facciano sconti a nessuno, neppure a Totti. Alla partenza ha ricevuto i soliti osanna dalla gente (qualcuno ha invocato anche Borriello), ma questo non ammorbidisce l’allenatore. «Nessuno ha dubbi su che cosa sia Francesco per tutti noi, ma cerchiamo di fare una squadra che sia al di sopra di ogni cosa. Passeranno i giocatori, gli allenatori e i presidenti, ma la società e i tifosi rimarranno, questo è l’importante».
FORMULA JUVE Poi c’è la Fiorentina, contro cui ha giocato col Barcellona il 2 novembre 1999 (3-3, ndr) «Mi piace, ha ottimi giocatori. Noi invece non siamo una squadra che può giocare ad un livello di intensità normale. Troppi infortuni? I nostri allenamenti non sono troppo pesanti, lo saranno di più. Voglio ancora più intensità. Vedo che la Juve ha un’intensità incredibile. Io penso che si possa fare anche qui. Quello che cerco ancora non c’è». Titoli di coda sulla formazione. «I cambi? In 8-9 partite su 14 non potevo fare la stessa formazione. Comunque, voi che sapete tanto di calcio non ne avete azzeccata ancora una? Di sicuro non lo farete con quella di Firenze». Proveremo a sopravvivere.