Dal paradiso all’inferno con biglietto di ritorno. E’ la storia di Luis Enrique, il tecnico che ha cambiato il mondo giallorosso. Il suo arrivo nella Capitale è datato 20 giugno 2011. Un segno del destino forse: 10 anni prima, sempre nel mese di giugno, la Roma aveva vinto il suo terzo, storico scudetto, anche grazie al suo capitano Francesco Totti. A quei tempi Luis Enrique giocava ancora in un Barcellona talmente “terrestre” che quando incontrò la Roma all’Olimpico il 26 febbrario del 2002, venne sepolto da un perentorio 0-3: le reti della vittoria furono di Emerson, Montella e Tommasi. Dettagli, si perché in campo con loro c’erano Totti da una parte e Luis Enrique dall’altra. A 10 anni di distanza, a molti inestinguibili romantici, sarà sembrato di vivere il lieto di fine di una favola. Come in una delle più famose fiabe, note e cornice, si materializzano in quel di Riscone di Brunico. Luis Enrique sembra un ultras, quando canta Roma, Roma, Roma. La squadre gli è intorno e lui chiude da protagonista con un “Chi non salta della Lazio è”. A questo punto si scaldano i cuori de tifosi, le parole chiave sono: Barcellona e bel gioco. Non male per una squadra sazia di minestroni Ranierani e per una società vicina al fallimento. Insieme al tecnico e agli americani, arriva quindi la voglia di vincere e dimenticare quel triste 25 aprile 2010 (Roma-Sampdoria 1-2). I tifosi ci credono veramente e la società fa di tutto per accontentarli: in estate arrivano innesti importanti: Gago, Pjanic, Stekelenburg, Osvaldo e la promessa Lamela su tutti. Nei mesi precedenti, all’inizio del campionato l’adrenalina esplode. Luis Enrique, conquista il popolo romanista a suon di conferenze stampa, e con lui tutta la squadra. Le amichevoli di inizio stagione, sono robetta facile, ma quello che impressiona di più è la voglia del tecnico asturiano di vedere una Roma giovane: da quel dì fanno il loro esordio i vari Caprari, Viviani e Verre. Ottimi, ma non ancora pronti. Se ne accorge anche Luis Enrique quando cominciano ad arrivare le prime inaspettate delusioni: 0-3 contro Psg e Valencia, ed eliminazione dall’Europa League per mano del semi sconosciuto Slovan Bratislava. In quell’occasione il neo allenatore sostituisce Totti per Okaka. Scoppiano le prime critiche. Si incrina qualcosa, nel rapporto con la tifoseria e se prima erano tutti d’accordo ora non lo sono più. Troppo possesso palla sterile è l’accusa. Luis Enrique però tira dritto come sempre e neanche l’inaspettata sconfitta nella prima di campionato con il Cagliari (1-2) gli fa cambiare idea. Non sono molto d’aiuto neanche i pareggi con Inter e Siena. Quella in campo è una Roma distratta e fuori fase, ma si intravede qualcosa e Luis Enrique in conferenza stampa continua a ribadire le sua sicurezza. A Parma arriva la prima vittoria grazie ad un colpo di testa di Osvaldo, poi la seconda sull’Atalanta, un 3-1 netto e spettacolare. Poi la mazzata al 94esimo nel derby fa crollare gli entusiasmi e le quotazioni di Luis Enrique. Piovono critiche su di lui: in tanti cominciano a pensare che il suo calcio non sia adatto al campionato italiano, altri non sono contenti di vederlo fare “gavetta” nella Roma. I sogni vengono sostituiti da un mero “ci vuole tempo”. In tutto ciò si viene a creare anche il problema Totti: in una celebre conferenza stampa l’asturiano si limita a dire “Io scelgo i migliori”. A correre in aiuto di Luis Enrique, è il neo acquisto Erik Lamela, al suo esordio in maglia giallorossa. E’ sua la rete che decide il match casalingo contro un mai domo Palermo. Da questo punto in poi inizia il periodo nero: i giallorossi vincono con Novara e Lecce, ma vengono sconfitti nel peggiore dei modi da Udinese, Milan, Genoa e Fiorentina. E’ il punto più basso della sua gestione, e tutti se ne accorgono quanto cominciano ad alzarsi i toni delle sue conferenze stampa. Come allo scoccare della mezzanotte, spariscono tutte le sicurezze di un allenatore stoico fino a quel momento, che aveva scelto di punire Osvaldo per aver schiaffeggiato Lamela. Sono i giocatori a quel punto a fare la loro parte. Si organizzano cene su cene (anche perché con l’arrivo del tecnico asturiano da Trigoria sono stati banditi cornetti e amatriciane). Torna la fame: in casa, contro una lanciatissima Juventus, solo il gol di Chiellini strozza le grida della Curva sud. E’ una Roma rinata. Ne paga le conseguenze il Napoli formato Champions League di Walter Mazzarri: 3-1 al San Paolo, un risultato straordinario su un campo difficilissimo, poi è il turno di un redivivo Bologna che viene asfaltato 0-2 in casa dal possesso palla giallorosso. La prima metà stagione italiana di Luis Enrique, si ferma quindi per la pausa invernale e parla di un bilancio di 24 punti in 16 partite, frutto di 7 vittorie, 3 pareggi e 6 sconfitte. Spalletti ne fece 23 in altrettante partite. Segni del destino? No, c’è chi dice che il il futuro si crea con le proprie mani. Per adesso si chiama Chievo, per il prossimo si spera Barcellona.
A cura di Flavio Festuccia