(M.Izzi) – Sono tra i romanisti che hanno visto sempre la rivalità con la Juventus come un confronto tra due modi diversi di vedere il mondo. Juventus o Roma… come dire nel 1964 Cassius Clay, non ancora Muhammad Ali, o Sonny Liston.
Alle operazioni di peso Clay urlava contro Liston: «Sei un orsaccio, sei brutto! E io mi muovo come una farfalla e pungo come un’ape». Lyston rappresentava l’establishment, l’America bianca e conformista e il modo tradizionale di boxare, con il peso massimo che avanzava verso il centro del quadrato come un Frankenstein. Clay, che sul ring “danzava” era una travolgente rivoluzione. Un pugile “contro”. Contro il perbenismo, contro l’ipocrisia razzista di una certa America, contro lo stereotipo del pugile tutto muscoli e niente cervello. Con le debite proporzioni, in un contesto cronologico e sociale completamente differente, è esattamente quello che accadde con la contrapposizione tra Roma e Juventus.
Da una parte la squadra della famiglia Agnelli, portabandiera di quel revanchismo tutto torinese che non aveva ancora digerito il ruolo di Roma come capitale del Regno, dall’altra la Roma, la squadra della Suburra, di Trastevere, di San Giovanni e di Testaccio, insomma “del popolo”. Del resto, non bisogna dimenticare come nel 1927, anno di nascita della Lupa, Roma fosse diventata capitale da meno di 60 anni. Giocare per la Juventus significava (significa), giocare per i padroni del vapore. Per chi veste il bianconero la vita è più facile, i problemi della vita comune più snelli. Viene in mente il vecchio aneddoto di Amadei che in aeroporto incontrò Gianni Agnelli e gli chiese d’intervenire per sbloccare la vicenda di una FIAT che aveva comprato e per cui era in aspettativa da mesi. Una settimana dopo ebbe l’automobile. E viene ancora in mente Giacomo Losi, che vedeva il suo collega Boniperti dare del tu agli arbitri mentre lui era costretto rigorosamente ad utilizzare il “lei”. Quando ancora la Roma era un abbozzo d’idea nella mente del suo fondatore, l’avversario era già la Juventus. Mi riferisco ad un’amichevole del 3 giugno 1926, organizzata proprio da Italo Foschi. Da una parte la Juventus di Combi, Allemandi e Rosetta, dall’altre una selezione romana con ben nove futuri romanisti, tra i quali Corbyons, Degni, Rapetti e, naturalmente, Attilio Ferraris IV.
Per assistere a quell’amichevole, poco più di una sgambata di fine stagione, i romani accorsero in 15.000. Non c’era la Roma, ma l’idea della contrapposizione con la Juventus, quella era già forte e radicata. La guida spirituale di quella Roma era Fulvio Bernardini. Ebbene Fulvio alla Juventus non è voluto andare mai. Non è voluto andare quando era solo un ragazzino alle prime armi. Parliamo sempre del 1926, quando lavorava ancora in banca, per arrotondare e aveva da poco ricevuto uno scatto contributivo che lo aveva portato a guadagnare da 480 a 606 lire al mese. Da Torino arrivò una proposta in cui ballarono: «pacchi di biglietti da mille». Ingenuità? Errore di gioventù? Può anche darsi, ma quello che è certo è che dopo la conquista dello scudetto alla guida della Fiorentina e dopo quello portato a Bologna, Fuffo riceverà ancora delle proposte bianconere, rispondendo sempre picche. «Della Juventus – diceva – sono stato un avversario irriducibile». L’altra avversione che ci divide dai bianconeri è il perenne tentativo della Vecchia Signora di attingere linfa vitale a casa nostra. Provarono a prendere Attilio Ferraris nel 1927, portarono via Aristide Coscia negli anni 40, Menichelli, Spinosi e Capello negli anni 60, per poi provare anche con Francesco Rocca.
Locatelli, talent scout bianconero, acquistò il 40% del cartellino di Francesco da un certo Imbergamo, che gli aveva visto giocare un’amichevole al Bettini Quadraro. La Roma per recuperarlo dovette comprare il rimanente 60% dal Genazzano. In realtà essere “contro” la Juventus, significa anche non essere cannibalizzati, affermare la propria essenza, il proprio spirito. Boniperti ha raccontato che nel 1977, dopo una stagione particolarmente ricca di successi, Luciano Spinosi si presentò a discutere un rinnovo di contratto: «in maglietta e calzoncini su cui campeggiavano disegni di scudetti e autografi di tutti i giocatori: «OK per l’aumento, però maglia e pantaloni li togli e li lasci qui a me». Spinosi uscì in mutande, ed è un’immagine che rende meglio di tanti discorsi il motivo per cui è così bello tifare Roma.