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IL TEMPO. Eppur “non” si muove

Luis Enrique

(A.Austini) –  «Te ne devi andà». «Luis Enrique vaff…». Non gliele mandano a dire i tifosi della Roma bagnati, infreddoliti e incavolati nel settore ospiti del «Franchi». E quelli che aspettano il rientro della squadra a Termini, una trentina, fanno ancora di più. «Vattene, basta» e altri insulti sparsi all’allenatore. Per la prima volta anche DiBenedetto assiste a una contestazione. «A presidè, caccialo via!». Chissà cosa avrà capito. Intimoriti anche i giocatori: qualcuno si è «permesso» di sorridere ed è stato apostrofato dal gruppetto degli inferociti.

Per Luis Enrique è il primo vero scontro con il pubblico. Il tecnico piace sempre meno alla gente: i risultati non arrivano, le formazioni cambiano di continuo e la squadra non risponde. E lui? È abbattuto, sconsolato, ma fino a ieri sera non ha preso in considerazione l’ipotesi di dimettersi nonostante il tam-tam già scatenato dai soliti «ben informati». Come per la sostituzione in Roma-Slovan, c’è ancora una volta di mezzo Totti nei pensieri rabbiosi del pubblico. Allora l’insurrezione nacque da quel cambio con Okaka, ieri i tifosi non hanno accettato di vedere il capitano in panchina per novanta minuti con in campo una squadra senz’anima. Lo stesso Totti c’è rimasto male. «Francesco – spiega a fine partita l’allenatore – non è al 100%, viene da un infortunio e in settimana ha subìto un colpo sulla caviglia operata. Durante l’intervallo ho parlato con lui e non mi sembrava giusto farlo entrare con la squadra in dieci e sotto 2-0». Un atto di rispetto, quindi. Ma a Totti la spiegazione di «Lucho» non è bastata. Anzi, ha addirittura aumentato la sua rabbia. «Cosa mi porta a fare se pensa che non sono pronto?» il pensiero del capitano dopo aver ascoltato le parole dell’allenatore. «Capisco che la gente lo consideri un riferimento – continua Luis Enrique – è il romanista più importante della storia e mi piace questo rapporto tra lui e il tifo. Sapevo prima di arrivare in Italia che dovevo aspettarmi tutto questo». Adesso però il caso rischia di esplodere. «Io mantengo il massimo rispetto per i tifosi. È normale che siano arrabbiati e io sono il principale responsabile. Da parte mia ora posso solo continuare a lavorare fino a quando sarò qui». A parlare è un allenatore in crisi, sfiduciato e preoccupato. «Mi sento male, come qualsiasi persona che lavora nella Roma. Quando i risultati non arrivano si hanno dei dubbi. Non è facile andare avanti in questa situazione, ma bisogna farlo. La fiducia dei dirigenti? La sento ancora».

Stavolta è lui a prendersi tutte le colpe nonostante i clamorosi errori dei giocatori. «Sarebbe facile parlare contro la squadra adesso ma preferisco sottolineare le cose che non vanno quando si vince. L’attegiamento è stato giusto anche se il risultato è terribile. I calciatori non mi seguono più? È una domanda da fare a loro, a microfoni spenti altrimenti direbbero tutti di sì. Io, comunque, non ho l’impressione che non mi seguano altrimenti…». Schiocca le dita per dire: me ne andrei. «Non sono qui per occupare una sedia o prendere i soldi. Ora voglio stare con la mia famiglia e valutare la situazione. Vorrei stare più in alto in classifica e fare un gioco spettacolare ma sapevo sin dall’inizio che sarebbe stato difficile». Sulla partita di Firenze: «Totalmente condizionata dall’episodio del primo gol. Sarebbe sbagliato trarre conclusioni dopo una gara così: per 15 minuti è stata equilibrata, poi ho lasciato il 4-3-2 per provare a pareggiare ma è arrivato il 2-0, più per merito di Gamberini che per un errore di Heinze. Bojan? Un gesto istintivo, capita mentre giochi». Inevitabile la domanda su Osvaldo. «È una decisione – ribatte il tecnico – presa da una squadra che vuole essere una squadra». Vuole sì, ma ancora non lo è.

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