Un tuffo nel passato, un tuffo nella nostalgia, un tema che si ripropone ogni volta che Roma e Juventus si ritrovano di fronte, storie che hanno vissuto, non negli annali ma in periodi particolari, risvolti ricchi di palpiti e di polemiche. E anche spunti, purtroppo, per veleni che si sarebbero radicati nel tempo, accentuati quando il consolidato potere occulto della Vecchia Signora lasciava ampi spazi alle recriminazioni e alle speranze di meno cupi orizzonti. Poi nascono anche le leggende, come la definizione di «regine degli Anni Ottanta», trascurando il fatto che nella prima metà di quel decennio la Juve avrebbe arricchito di altri tre scudetti la sua già affollatissima bacheca, mentre alla Roma sarebbe rimasta la consolazione del secondo tricolore della sua storia.
Del resto quell’etichetta sembra adesso, nel ripercorrere le tappe di campionati anche abbastanza recenti, quella di Inter e Roma «i duellanti», ma le feste finali erano riservate puntualmente al sagrato del Duomo, senza neanche una fuggevole apparizione al Circo Massimo. Quelle storie di trent’anni fa si erano guadagnate la ribalta dell’interesse grazie alle iniziative che Dino Viola aveva caparbiamente portato avanti. Non soltanto la volontà di riproporre i colori giallorossi a livelli ormai quasi dimenticati: con un tecnico geniale in panchina, come lo svedese di «ghiaccio», che per altro dentro di sé si accendeva come gli zolfanelli orgoglio della sua patria, e con acquisti di qualità. Ma anche con una meno arrendevole politica, poco gradita al Palazzo ma perseguita senza mai chinare la testa, nonostante l’isolamento decretato anche da quelle società del Sud, Napoli su tutte, che avrebbero dovuto sostenerla. Con delusioni avvelenate dai sospetti, quando un titolo italiano venne scippato alla Roma, il famoso fuorigioco di Turone, da quel Bergamo che molti anni dopo, come designatore, con la Juve avrebbe avuto incroci molto più inquietanti.
Rimangono nella memoria i duelli dialettici, ironici ma civili, tra due grandi personaggi come Giampiero Boniperti e Dino Viola, ma anche le aggressioni al presidente romanista da parte dei gentiluomini della tribuna d’onore juventina, che di onorevole aveva pochissimo. Si riparte dalla comune esperienza di un campionato ben poco in linea con la storia e con le tradizioni delle due rivali. Ma la Roma doveva essere ricostruita dalle macerie, la Juve aveva altre risorse, valorizzate al meglio da Antonio Conte, il tifo giallorosso è cosciente di doversi fidare di un progetto a lungo termine, con aspettative finora fieramente deluse, senza apprezzabile aiuto della fortuna. E così questa ennesima sfida è da vivere, a Roma, con lo scomodo costume di scena del «black horse», l’outsider.