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IL TEMPO. Osvaldo furioso

Daniel Pablo Osvaldo

(A.Austini) – Dove eravamo rimasti? Il gol della vita contro il Lecce cancellato da una bandierina galeotta, la lite con Lamela a Udine, il castigo di Firenze e l’etichetta del «matto» riattaccata all’improvviso sulla sua fronte. Osvaldo ha passato un brutto mese, perché tanto è trascorso dall’ultima gioia sul campo: quel gol di testa a Novara che sembrava l’inizio della risalita per la Roma. E invece dietro l’angolo c’era lo strapiombo. Bisogna aggrapparsi a qualcosa per arrestare la discesa e Luis Enrique sta pensando proprio all’orgoglio dell’italo-argentino. Domani sera con la Juve lì davanti toccherà di nuovo a lui, insieme a Totti (seppure ancora frenato dal dolore alla coscia) e, ironia della sorta, proprio Lamela. I duellanti di Udine uno a fianco all’altro in attacco: è questa l’idea più gettonata nella sedicesima versione del Toto-Luisito. Lo spagnolo può ancora cambiare idea – Borriello è lì che spera – ma nel caso contrario Osvaldo e Lamela non proveranno nessun imbarazzo nel dividersi l’area di rigore e passarsi il pallone. Lo screzio lo hanno chiarito in fretta, il problema, semmai, è stato tutto quello che ne è nato dopo. Il centravanti c’è rimasto male e non lo ha nascosto: «Certe cose devono rimanere dentro lo spogliatoio» ha detto mentre riceveva da Staffelli il Tapiro di «Striscia». Più che la multa (ancora in sospeso per la vacatio legis sulla composizione dei collegi arbitrali) e l’esclusione di Firenze, lo ha ferito la decisione della società di dare la vicenda in pasto al pubblico. Per questo nei giorni scorsi Walter Sabatini ha lavorato molto sulla testa di Osvaldo. Gli ha parlato, gli è stato vicino e lo ha caricato. A modo suo. Il ds è il dirigente più legato al giocatore e sa di avere più influenza rispetto agli altri: aveva provato a portarlo alla Lazio e al Palermo e ha subito condiviso la ferma volontà di Luis Enrique di aggiungerlo alla rosa romanista. Anche a costo di spendere 15 milioni oltre a ricchi bonus, più di quanto incassato dalla cessione di Vucinic. La sfida tra il vecchio è il nuovo nell’attacco giallorosso è saltata per «colpa» del montenegrino. Ma la gara di domani con la Juventus per Osvaldo resta piena di significati. Prima che arrivasse la Roma, Conte aveva provato a portarlo con sé a Torino. Una trattativa mai decollata perché nel frattempo la società di Agnelli non è riuscita a piazzare i tanti esuberi in attacco. I bianconeri, per Osvaldo, significano anche bei ricordi. A loro segnò il gol che permise alla Fiorentina di sfatare il tabù di Torino dopo venti anni. Prima, nella stagione 2006/07, con la maglia del Lecce punì la Juventus in una partita del campionato di serie B. Se è vero che non c’è due senza tre… Luis Enrique è il primo a sperare che la regola esiste davvero. Nei giorni scorsi ha capito e perdonato qualche nuovo gesto di nervosismo in allenamento del centravanti che tanto ha voluto portare nella Capitale. E lo stesso Osvaldo ha metabolizzato la punizione di Firenze: sa di dovere moltissimo all’allenatore spagnolo e, sbollita la rabbia, si è rimesso al suo servizio. Isolandosi da tutto il resto, tra una cena in famiglia e tanta musica: a casa si divide tra lezioni di pianoforte e chitarra. La musica lo ha aiutato a distrarsi dalla schizofrenia che circonda la Roma. In tre mesi ha già fatto una full immersion: da strapagato a «pippa», da fenomeno che ricorda Batistuta fino a guadagnarsi la Nazionale a uomo spacca-spogliatoi. Su di lui è stato detto tutto, come sempre la verità va cercata nel mezzo.


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