I giocatori non sembrano credere più nel progetto, i tifosi contestano, ma il presidente, a pranzo a Trigoria con Fenucci e Sabatini, non considera lo spagnolo responsabile del momento no dei giallorossi. Decisivo il confronto tecnico-squadra alla ripresa.
ROMA – “Cosa non va?”. Forse limitativo ridurre un bilancio che piange 7 sconfitte in 15 partite, un’emergenza fisica che i black out mentali complicano a dismisura, e l’abbandono da parte della piazza, a una semplice domanda. Eppure, in queste ore, a Trigoria si stanno ponendo proprio questo quesito. Nessun indice puntato su Luis Enrique, anzi. Il team dirigenziale con il presidente DiBenedetto, Fenucci e Sabatini, e con l’unica eccezione di Baldini che ha raggiunto il gruppo nel pomeriggio, si è riunito per pranzo a Trigoria con una certezza: l’allenatore è l’ultimo dei responsabili e nessuno ha l’intenzione neanche minima di cambiarlo. Dall’altra parte della barricata, però, c’è un esercito di supporters tutt’altro che in sintonia con il club e fortemente critici con l’asturiano. Che – anche per orgoglio – più che un pensiero, sulle proprie dimissioni ha fatto delle valutazioni. Escludendole, per il momento. Domani, più che “votare la fiducia”, a Trigoria sarà il momento del confronto tra tecnico e squadra. Con la dirigenza nella posizione di dover dettare la linea per il futuro, suggerendo magari alla guida tecnica di rivedere alcune sue posizioni troppo nette. E alla squadra di continuare a credere nel progetto: senza cercare un capro espiatorio.
Intanto, però, vista da fuori la situazione della Roma lascia aperti diversi punti interrogativi, molti anche sulla gestione del tecnico. Che, dopo aver escluso Osvaldo – decisione tutt’altro che apprezzata dal resto della squadra – ha sacrificato sull’altare della coerenza anche Borriello. Quell’infortunio al flessore, ma senza lesioni accertate, per il quale aveva dovuto disertare la trasferta di Udine ha lasciato dei dubbi nello staff tecnico: impossibile non cedere alla tentazione di dimostrargli che la squadra può fare a meno (anche) di lui. Una scelta che poi a Firenze, dove in campo è sceso un attacco da 61 anni in tre, la squadra ha sofferto. A causa anche, se non soprattutto, dell’assenza di Francesco Totti, per 90 minuti in panchina. “All’intervallo gli ho detto che non mi sembrava corretto farlo entrare in inferiorità numerica e sul 2-0”, la spiegazione di Luis Enrique. Al contrario, il capitano avrebbe voluto aiutare la squadra, fare la propria partita, mandare un segnale. Quello che è rimasto del suo viaggio fiorentino, invece, è lo sguardo chino sul campo, l’impermeabile a coprire labbra e pensieri, proprio come al rientro in campo dall’intervallo e sul treno: solo, in fondo al vagone, con una marea di dubbi su cui rimuginare. Chissà se gli stessi dell’estate.
Scelte discutibili, quelle dell’allenatore, almeno quanto la riproposizione dal primo minuto di Cicinho a distanza di 70 giorni dalla sua ultima fulminea apparizione contro il Siena, il 22 settembre, e morso dai crampi già dal minuto 20. Ma più degli errori dell’allenatore, oggi, sul futuro dell’utopia pesa la realtà del calendario, che lunedì metterà la Juventus prima in classifica di Conte sulla strada di una Roma che dovrà rinunciare a Juan, Gago (arrivederci al 2012 per infortunio al ginocchio) e Bojan, oltre a Heinze che almeno uno tra il giudice sportivo e Luis Enrique punirà per la gomitata a Gamberini. Indice puntato sul crollo nervoso degli ultimi 15 minuti, che dimostra quanto sia ancora fragile la personalità della squadra, contaminata dagli stessi geni che in passato avevano trovato terreno fertile nei comportamenti di Vucinic e Mexes, di De Rossi e Totti. Ma nonostante il terremoto popolare, passato in 15 giorni dal “Mai schiavi del risultato” di Roma-Lecce al “Con Luis Enrique andiamo in B” di domenica sera, l’allenatore non verrà destituito. In attesa che lui stesso domani, dopo una giornata chiuso nella propria villa dell’Olgiata, liberi il cielo sul suo futuro dalle nubi dei cattivi pensieri.