(U. Trani) – Stasera a Torino non è solo Juventus-Roma, quarto di finale, in gara secca, di Coppa Italia. Il fascino e il prestigio è anche dentro la sfida nella sfida: il trentasettenneAlessandro Del Piero contro il trentacinquenne Francesco Totti. Amici, però, più che nemici. Due 10. Le bandiere dei due club, 19 stagioni la prima e 20 l’altra. Vicinissima a essere ammainata, su input di Andrea Agnelli, quella bianconera; sempre in alto quella giallorossa dopo l’ultimo record di sabato scorso, 211 reti con gli stessi colori, primato assoluto per il nostro calcio. «Non vorrei che fosse l’ultima volta che mi trovo Alex di fronte, in questa gara così sentita, da avversario. Mi dispiacerebbe molto. Lui è un simbolo. Ha fatto la differenza per la sua squadra in Italia e in Europa. Mi auguro che finisca la sua avventura restando per sempre in quella società, fino a quando vuole lui. Sarà lui, però, a scegliere. La Juve, uno come lui, dovrebbe trattarlo con i guanti bianchi» avverte il capitano della Roma che non dimentica i 285 gol bianconeri del rivale in 691 gare. «Lo ringrazierò personalmente in campo per i complimenti dopo la gara con il Cesena. Ma anch’io, tante volte, ne ho fatti a lui per le sue imprese che sono state tante». Totti, dunque, in prima serata sulla Rai anche alla vigilia del match di questa notte da campioni. Una lunga e ricca intervista al Tg1 per raccontare la sua eterna giovinezza. «Perché di solito all’età mia, a trentacinque anni, un calciatore comincia la sua discesa. Io invece continuo a salire». Francesco si sente in piena fase di decollo. Tanto da tendere la mano a Cesare Prandelli che domenica è stato chiaro: «Se va avanti così, lo prenderò in considerazione per l’Europeo». «E se mi chiama, sicuramente gli risponderò… Mai dire mai. Mi auguro si stare bene a maggio proprio come sto oggi. A quel punto valuterò. Ho un bellissimo rapporto con il cittì, anche se con lui ho lavorato solo per una settimana, dieci giorni. Mi hanno raccontato che lui ha tanta voglia e molti stimoli. Sta facendo grandi risultati con la Nazionale. Mi ha fatto piacere sentire certe cose sul mio conto. Vedremo tra qualche mese». L’apertura c’è, ma non è il caso di anticipare i tempi. Da sempre Totti ha al primo posto, nel cuore, la Roma. Vive per quei colori. Tanto da dire che: «Aver vestito solo una maglia per me vale più del Pallone d’oro». E’ il suo trofeo.«Sono situazioni differenti, ma per me conta di più essere stato sempre giallorosso. E’ più importante, questa maglia. Ho avuto tante volte la possibilità di andar via, di indossarne una diversa, ma alla fine ha prevalso l’amore. E non c’è cosa più bella. E’ una doppia vittoria. Nella mia vita, sin da bambino, ho sempre voluto questo». Iniziò la stagione leggendo una critica di Franco Baldini, all’epoca ancora nemmeno direttore generale della Roma che però non usò un’espressione appropriata sul capitano, invitato ad abbandonare la sua pigrizia. Si sentì pugnalato alle spalle. Ferito. Un giorno arrivò a Trigoria con una delle sue storiche t-shirt. Sul petto la scritta: Basta. «Era una maglietta, quella con cui ero uscito di casa per andarmi ad allenare. Non ce l’avevo con nessuno. E’ stato montato un caso che non esisteva». Non vuole tornarci su, anche se per farsi intervistare apre il suo ufficio a Trigoria, con le sue sue maglie storiche alle pareti, quella stanza che il dg avrebbe voluto chiudere. Non porta rancore. Tanto che glissa pure su quel gruppetto di ingrati che lo aggredì verbalmente con un «sei finito», per strada e davanti ai piccoli Cristian e Chanel, dopo il rigore che si fece parare da Buffon, un altro amicone, la sera dell’ultima sfida, prima di questa, con la Juve, il 12 dicembre all’Olimpico. «Capitolo chiuso». E’ apertissimo, invece, il dialogo con Luis Enrique: «Io ho sempre avuto buoni rapporti con tutti i miei tecnici. Quando le cose non vanno bene si amplifica tutto, anche quanto non esiste. Poi, come al solito è venuta fuori la verità. Cioè che remiamo tutti nella stessa direzione, che ci interessa il bene della Roma e che tutti vogliamo onorare questa maglia». Con l’asturiano, dunque, c’è stata subito sintonia. «Dall’inizio abbiamo un grande feeling. Quando non giocavo è ovvio che mi dispiaceva. Ma ho sempre dimostrato di sentirmi uno del gruppo, mettendomi a disposizione. Poi, cominciando a trovare spazio, le cose sono andate sempre meglio». Perché Lucho, nello spogliatoio, sa come prendere, i suoi giocatori. E’ diretto: «E’ una grande persona. Vera. Dice sempre quello che pensa in faccia. Ha, come tutti, pregi e difetti. Ma lui è un tecnico che può portare una nuova mentalità qui in Italia». Che poi è quella che più ha conquistato Francesco. «Mi piace tantissimo. Pensate: in partenza non ero contento di giocare nella posizione che aveva scelto per me. Ma, come stiamo vedendo, aveva ragione lui. Ora mi diverto e anche tanto. E soprattutto si diverte la nostra gente». Non guarda indietro, alla brutta partenza della Roma. Fuori dall’Europa League ad agosto e grave ritardo in campionato.«Era da mettere in preventivo perché ci voleva tempo, con allenatore e giocatori nuovi. Luis Enrique veniva da un altro calcio. Quando ha capito come era il nostro, sono arrivati i risultati. Restando uniti, siamo usciti dal tunnel. Sì, siamo diventati la novità di questo torneo perché stanno venendo vittorie su vittorie. Così possiamo dire la nostra. Prima non era possibile: il cambiamento è stato totale, con tanti stranieri. Dovevano imparare la lingua, conoscere la gente e la città»(…). Ora la Roma è per Totti «una squadra giovane e divertente che vuole vincere». Quando si mette allo specchio scopre che gli altri lo vedono addirittura più bello di quanto pensa di essere. «Essere il più conosciuto d’Europa, come è stato detto la settimana scorsa, più di Del Piero e Cristiano Ronaldo, non me lo sarei mai aspettato. Ne sono orgoglioso e felice. Credo di essermi meritato tutto sul campo. Io ho sempre voluto indossare questa maglia e dare il massimo per questi colori. Sono proprio contento di tutto quello che ho fatto e di quello che farò». Perché il futuro è ancora suo, anche se l’Oscar del nostro calcio lo dà aIbrahimovic. «Ho ancora due stagioni, dopo questa, di contratto. Spero di arrivare a giocare fino a quarant’anni. Comunque vedremo più avanti quali saranno le mie condizioni fisiche. Sarò il primo, se dovessi vedere di non farcela più, a gettare la spugna. Ma a diventare dirigente ancora proprio non penso. Ora mi preoccupo solo a mantenermi in forma, a divertirmi. Al resto non penso. Quando non avrò più stimoli, state certi che smetterò. Io credo nelle mie potenzialità e cerco di mantenermi al top. Con una vita tranquilla e da professionista». (…). Il riferimento è alle indiscrezioni sul terzo figlio in arrivo. «Fino a dieci giorni fa dicevano che ero separato in casa, poi che aspettiamo il terzo bambino. Vi avverto io, comunque. Ancora niente…». Niente t-shirt celebrativa per festeggiare i 211 gol del sorpasso su Nordahl. «Avevo in testa cose più importanti. Ho fatto due dediche: a mia cognata che aveva partorito in settimana e soprattutto alle vittime della Costa Crociere. Quelle immagini mi hanno impressionato. Ho visto i bambini scappare. Sono rimasto colpito perché Titanic era l’ultimo film che avevo visto. Mi ha fatto piacere conoscere Sara e invitarla allo stadio. Mi ha raccontato quei momenti terribili». Il finale è su Mario Monti. «Mi auguro che il capo del governo possa cambiare tante cose in questo paese. Abbiamo molti problemi. Siamo tutti dalla parte sua. Sì, più o meno tutti. Speriamo di vol
tare pagina».