(L.Valdiserri) – Piangevo perché non avevo scarpe, fino a quando non ho visto un uomo che non aveva i piedi. Nella sintesi estrema che richiede Twitter (massimo 140 caratteri) Luis Enrique Martinez Garcia si presenta così ai suoi follower. Un ritratto assai impegnativo per se stesso e per chi gli sta vicino, sia la sua famiglia o siano i suoi calciatori. Perfezionista, lavoratore, motivato, a volte al limite della paranoia. E, soprattutto, guidato da un’idea di calcio molto forte, forgiata a Barcellona, e perciò «non negoziabile» (suo copyright). È l’unico allenatore straniero della serie A e non è un caso. Non si è italianizzato e non vuole farlo: una scelta che ha diviso tifosi e addetti ai lavori in pro e contro. La vera domanda dovrebbe essere però una sola: sta dando davvero alla Roma un gioco «diverso», al di là della variabile (comunque importantissima) dei risultati? Almeno per chi scrive, la risposta è: sì. La partita di ieri contro il Parma di Donadoni, apparso molto deludente sul piano del gioco, ha corroborato i soliti numeri giallorossi (62 per cento di possesso palla, 70 per cento di supremazia territoriale, il doppio di passaggi riusciti rispetto all’avversario) conotto occasioni da gol contro una sola (l’ex Okaka, stoppato da Stekelenburg). Da tanto calcio, la Roma ha tratto un solo gol, di Borini, al 26′, con un destro in diagonale. Poi, nel finale, la sagra del tiro al bersaglio (Mirante). Sicuramente troppo poco, per una gara che poteva finire 3-0 o 4-0, ma infinitamente di più del nulla offerto lunedì scorso contro il Siena. Cosa è cambiato in pochi giorni per trasformare una Roma inguardabile in una squadra capace di fare buon calcio, a tratti ottimo? Facile dire il recupero di De Rossi, il giocatore che ha la capacità di migliorare del 30 per cento il rendimento di tutti i compagni, così come fanno i grandi playmaker del basket. Ma ancora più importante è stata l’attenzione costante di tutta la squadra. Se riesce a limitare gli errori nei passaggi «facili», la Roma può mettere in crisi qualsiasi avversario. Francesco Totti (premiato per la partita numero 700 da professionista, una storia infinita iniziata il 28 marzo 1993 a Brescia) ha trovato l’ammonizione che voleva per saltare Atalanta-Roma ma non rischiare il derby. Detto questo, resta purtroppo da segnalare un’altra sconcertante prova della squadra di Nicchi e Braschi. L’arbitro Peruzzo, assai poco aiutato dagli assistenti, non ha visto un rigore solare di Ferrario (fallo di mano su tiro di Gago al 14′ p.t.) e ha poi diretto cercando di tenere bassa la percentuale dei falli fischiati, sorvolando su moltissimi interventi scorretti. La regolarità del gioco, però, conta più di una statistica. E il Parma? Ha sicuramente pagato il recupero infrasettimanale giocato a cento all’ora contro la Juventus. Donadoni ha fatto turnover (fuori Floccari e Modesto, Mirante in porta al posto di Pavarini) e tenuto in panchina, inspiegabilmente, Biabiany. Cioè il giocatore che, con i suoi cambi di velocità, poteva mettere in difficoltà la Roma. Ma è la prima sconfitta nelle ultime sei gare e ci può stare. Soprattutto se si cerca una tranquilla salvezza e non un calcio «diverso» dagli altri.