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GAZZETTA DELLO SPORT. De Rossi: “Luis Enrique? Se avessi avuto solo lui sarei cresciuto meglio”

Totti e De Rossi

(M.Cecchini) Il cielo terso di una Genova lucidata dal vento sembra stridere col rumore di tempesta che gli giunge da Roma, col derby che incombe all’orizzonte. Per questo Daniele De Rossi, a sorpresa, dà la sua disponibilità nel parlare. Il suo è un discorso con sincerità da soldato, in cui i silenzi da spogliatoio vengono rispettati come una sorta vademecum comportamentale scritto sulla roccia. Così va il calcio, dicono. Meglio evidenziare, perciò, il concetto chiave: non ho fatto nulla di grave, ma non sparate su Luis Enrique. Niente scuse «Non ho nulla da nascondere – dice l’azzurro -. Mi trovo in un gruppo di persone perbene e l’allenatore è il primo di questi. Mi sono sempre trovato bene con lui, dice le cose in faccia e mi piace il fatto che tratti l’ultimo ragazzino della Primavera come Totti o me. E infatti mi ha mandato in tribuna contro l’Atalanta. Diciamo che non è stata una giornata positiva per me, che sono stato poco professionale, ma non credo di dover dare delle scuse. La società ha detto quello che è successo: non ci sono state risse e non ho offeso nessuno, altrimenti Luis Enrique avrebbe detto che gli ho mancato di rispetto e non che “non ero pronto”. Non lo comando mica come un burattino. A Bergamo sono stato un po’ disattento. Delle cose di spogliatoio, come ha detto l’allenatore, non se ne parla, però non sono stato maleducato, non sono scappato e non ho fatto a botte con Kjaer. Anzi, lui abita a casa mia: lo farei se non paga l’affitto (ride, ndr). Io continuo a fidarmi di Luis Enrique, così come fa il gruppo. Spero lo faccia anche la tifoseria. So che a Roma c’è un po’ di caos e mi dispiace perché l’ho creato io, ma credo e spero che non abbiano perso solo perché io non c’ero. I miei compagni saranno stati infastiditi, ma altre volte siamo finiti k.o. con me in campo».

 

MONDO DORATO De Rossi non nasconde il privilegio della sua professione. «Io devo eseguire gli ordini, anche se sembra un linguaggio da caserma. Noi viviamo bene, non c’è un clima nazista, è un mondo dorato. Non possiamo lamentarci se quando non vengono rispettate le regole ci siano punizioni. Se avessi avuto solo allenatori come Luis Enrique, avrei fatto qualche anno in meno di ritiro e sarei stato meglio. Certo, non sapevo che un ritardo così comportava l’esclusione, ma lui ad esempio ci dice che chi arriva tardi a Trigoria per le partite in casa non gioca. Un club educatore? Non ho bisogno di Baldini o Luis Enrique per sapere come mi devo comportare, ci hanno già pensato i miei genitori, però la società sta facendo un lavoro importante. Si parla di questa cosa per il 4-1. Se avessimo fatto una bella gara, ora si esalterebbe un allenatore che non guarda in faccia a nessuno. Invece gli si fa pesare una classifica che è quella che è…».

CALCIO LATINO E in azzurro? «Anche Prandelli col codice etico non scherza! Se uno rispetta le norme va in campo: la prossima volta saremo più attenti. In Italia le cose si stanno normalizzando anche per allenatori come il mio che fanno le cose per bene. Certo, anche fra cinquant’anni, per un Milan-Juve ci sarà tensione. Siamo latini, si sa che da noi il calcio è tutto. Il caso Buffon? Credo di poter parlare visto che un episodio analogo mi è capitato (Roma-Messina, marzo del 2006, De Rossi segnò di mano e poi lo disse all’arbitro Bergonzi che annullò la rete, ndr). All’epoca si trattò di un gesto istintivo ma volontario, era un fallo. Se invece facessi un gol e avessi la sensazione di essere in fuorigioco non andrei dall’arbitro a dirglielo. È lui che deve intervenire in questi casi, come quando in un’azione concitata non si sa se la palla sia dentro o fuori». Per chiudere si torna al principio, ovvero al derby. «Concentriamoci sulla sfida che ci aspetta. Noi le partite con le grandi non le approcciamo male anche se poi si possono perdere, come col Milan e con la stessa Lazio. L’importante, però, è che torni un clima più sereno». Impressioni? Non sarà facile.

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