(A.Pugliese – D.Stoppini) Li immagini al tavolo da poker, più che in panchina. Luis Enrique ed Edy Reja hanno giocato d’azzardo. Così diversi, così lontani, una passione in comune per la bicicletta e per il rischio. Perché un azzardo è stato mandare in tribuna De Rossi: andiamo a vedere la partita, niente da fare, il poker in mano ce l’aveva l’Atalanta e la Roma è rimasta senza fiches. Un azzardo è stato pure quel fax di Reja, spedito mercoledì scorso: il tecnico voleva andare a vedere le carte di Lotito. Ha fatto all-in, rischiando di abbandonare il tavolo (per De Canio? per Zola?). Ma ora ne esce rafforzato. SQUADRA Rafforzato, se ce n’era bisogno, nel rapporto con i giocatori, che a Lotito — durante l’ultima travagliata settimana — hanno ricordato l’importanza del tecnico nello spogliatoio. La prestazione con la Fiorentina ne è stata la dimostrazione: qualcuno aveva mai visto Hernanes — lo stesso che sabato si chiedeva a Formello «Ma chi è il nostro allenatore?» — difendere così prima di domenica, chiudendo la partita da terzino? Luis Enrique, invece, la squadra l’ha avuta sempre dalla sua parte (almeno finora), a partire proprio da De Rossi, che in sede di rinnovo l’ha definito «l’allenatore più importante della sua carriera». Certo, c’erano state le incomprensioni iniziali con Totti, ma quella oramai erano acqua passata. I fatti di Bergamo, invece, rischiano di creare una frattura tra alcuni giocatori e il tecnico. La squadra, infatti, sembra cominciare ad essere disorientata da alcune scelte e comportamenti del tecnico spagnolo. Società La dirigenza no, quella no. Almeno nelle dichiarazioni ufficiali. Baldini si è legato a doppio filo a Luis Enrique, tanto da difenderlo in ogni occasione («Il supporto è totale e sono talmente convinto che il suo futuro è legato anche alle mie fortune», disse ad ottobre). Sabatini a volte sembra non in totale sintonia su alcune scelte tattiche, ma allo spagnolo riconosce applicazione, lavoro e competenza («È un mostro, merita dieci», ha detto giorni fa). Proprio come ieri a Coverciano, quando molti tecnici del nostro campionato sono rimasti a bocca aperta ascoltando l’intervento di Lucho. Il rapporto tra Reja e la Lazio, invece, è come quello di un marito che ha ricomposto la frattura con la moglie, dopo la scappatella con l’amante. La stranezza qui è che l’amante e la moglie si conoscono. Zola è stato a Roma, hotel degli Aranci in zona Parioli: Reja lo sa, con il sardo si è anche sentito al telefono in quei minuti concitati. Lotito negava e nega ancora, come ogni marito fa dopo un tradimento. Si va avanti, almeno fino a nuovo ordine. E con quel fax di dimissioni presentato che ora rischia di trasformarsi in un boomerang per Reja: e se un giorno fosse Lotito a decidere di utilizzarlo, rispondendo nero su bianco? Ambiente Intanto la gente ha scelto da che parte stare. Lo ha fatto da un po’, almeno dal 31 gennaio scorso: Reja è entrato nel cuore dei tifosi, è visto come il capitano che timona la nave, e pazienza se ogni tanto gli viene voglia di sbarcare. A lui sono affidate le speranze di terzo posto. «Edoardo uomo derby», c’è scritto in una targa a Formello. La partita che fino a quattro mesi era l’incubo di Reja, domenica può trasformarsi nella zattera per arrivare a fine stagione, magari pure in un porto accogliente. Per la Roma, invece, è l’ultima grande occasione per salvare la stagione. Almeno per i tifosi, che finora hanno «perdonato» tutto a club, tecnico e giocatori, ma che non sono pronti a sopportare un ulteriore smacco. Il termometro del tifo, infatti, è in netto ribasso per tutti: Luis Enrique, Baldini e Sabatini. E se dovesse arrivare un altro k.o. nel derby, si riaprirebbero anche le altre ferite (Slovan Bratislava, Cagliari, Udinese, Lazio, Fiorentina, Juve in coppa e Siena). L’ancora di salvataggio? Si chiama derby, proprio come quando la Roma era la «Rometta». A pensare al famoso progetto, un po’ viene da riflettere.