(G. Greison) – C’è chi spinge, fatica, si diverte. Non cerca scuse, non si nasconde. Di là: Roma, la città, il ghiaccio per le strade, le scuole chiuse; di qua: la Roma, quella scesa in campo contro l’Inter, vincente, che straccia avversari e demoni; ma ancora più vicino, c’è Borini, Fabio Borini, classe ’91, nelle ultime quattro partite quattro gol. Ma il calcio non è questione di numeri, di anni, di misure: ma di voglia. Gli chiedono: non avevi freddo, sembrava ti muovessi a tuo agio a queste temperature polari? Lui, risponde: «Se voglio diventare un campione, non devo sentirlo». Et voilà, sistemata la commiserazione altrui. Potrebbe darsi arie, negarsi, dire che ha fretta. Invece, è qui, sta qui, non si muove, parla, e parla, e parla, della sua prima doppietta in serie A. Della bella prestazione, qualcuno lo paragona a Rooney, altri ancora a Pippo Inzaghi, per questi due gol da autentica vipera da area di rigore, saltando una difesa con giocatori tipo Maicon, Samuel, Lucio. E la tifoseria è naturalmente tutta dalla sua parte. Mentre lui, commenta: «Se mi rivedo in Inzaghi? Beh, questo paragone lo fece anche Ancelotti al Chelsea, e mi fa piacere, però lui ha segnato e vinto tantissimo».
A caldo Umile, cauto. Attento a chi gli sta davanti. In campo, e fuori. Ancelotti diceva pure che era anche un pò rompiscatole: «Infatti, anche oggi mi definisco così, dopo questa partita contro l’inter». Quando segna, fa il gesto del coltello tra i denti: «Sì, così facevo in Inghilterra, perché volevo far capire che sono uno che non molla facilmente. Quindi, lo rifaccio spesso». Anche dopo una doppietta. «Doppietta, che dedico alla mia famiglia, e ai miei amici, che sono venuti pure oggi allo stadio a guardarmi». Motivo in più per esultare. Per scappare via, e festeggiare. Invece, non lo fa. Aspetta, come aspetta anche la chiamata in Nazionale. Un sogno. «Sì, un sogno. E’ il mio percorso professionale che lo richiede, quello personale, quello che ho in mente, che vorrei si avverasse, chissà, speriamo».
Continua Ricorda che giocare a calcio è un privilegio, non una fatica. «Sono un ragazzo fortunato: e in squadra ho grandi riferimenti. Totti mi spinge a crescere sempre». Addio lost generation, sono arrivati i ricambi. Fatti di pezzi nuovi: che hanno già la volontà scolpita, prima del corpo. «Devo continuare a giocare così, e andare avanti». E si migliora. «Dopo la partita contro la Fiorentina, dicevo le stesse cose, invece oggi mi sento cresciuto ancora di un centimetro in più. Catania, dovremo dare tutto in pochi minuti. Sono pronto, sono qui». E, poi, i suoi sono commenti sulla situazione generale: «Siamo stati bravi, siamo andati tutti d’accordo, in sintonia. Loro erano chiusi in difesa, noi siamo entrati, scardinando il loro gioco. Io devo guardare al momento, al giornata: e non montarmi la testa: procedo a piccoli passi, solo così mi sento sicuro. Giocare contro dei campioni, e batterli, fa capire il carattere complessivo di tutti: per questo è importante sostenerci sempre, anche in partite come quella contro il Cagliari». Insomma, lui cresce. Fa partite piccole e grandi. Ma procede. Va avanti. Cresce. Cambia. Lui, come la Roma. La Roma, sì, non Roma.