(U.Trani) Sostituisce Fabio Borini che, da ultimo arrivato, avrebbe dovuto raccontare le sensazioni della prima volta in azzurro. Ma la punizione di Luis Enrique al calciatore simbolo della nuova Roma resta d’attualità e chissà per quanto. Ecco perché a Genova il centrocampista esce allo scoperto. «C’è il derby, domenica. Intervengo perché non vorrei che quanto successo domenica incidesse sulla preparazione di una partita così importante. E non mi piace che sia massacrato l’allenatore: non è successo nulla di grave, sono stato disattento. Ha deciso lui. Continuo a fidarmi, come tutto il gruppo. E spero anche i tifosi». De Rossi, per la verità, non porta elementi nuovi sulla questione. Nel senso che non ne aggiunge. Ne toglie, però, qualcuno. «Non ho offeso nessuno, non ho litigato con Luis Enrique, non ho fatto risse. Non mi sono preso a pugni con Kjaer: dorme a casa mia, lo potrei fare se non mi pagasse l’affitto. Non sono scappato dalla finestra. Nè ho lasciato il ritiro: alle nove e trenta ero a colazione, alle undici a pranzo con i compagni». Cancellate e buttate nel cestino le varie ipotesi, resta quel ritardo. E da quello bisogna ripartire per rendersi conto che cosa è successo. A vedere in faccia De Rossi non è successo niente. A sentire Luis Enrique, invece, qualcosa di «molto grave». Questo ha saputo il giocatore dall’asturiano, questo ha spiegato Daniele, via sms («Luis è proprio strano», più o meno il senso del messaggio) e dicendosi arrabbiato per non essere sceso in campo, all’ex compagno Panucci, impegnato da opinionista negli studi televisivi di Sky durante il match di Bergamo. La distanza tra il provvedimento preso dal tecnico e l’errore commesso dal giocatore rimane troppo ampia per chiudere qui la questione. De Rossi aiuta Luis Enrique. «Il rapporto tra noi non si è guastato. Lo avevo elogiato perché non guarda in faccia nessuno, trattando me e Francesco come i ragazzini della Primavera. Ne ho avuto la conferma». Ma poi non sa come spiegare la mancanza. «Diciamo che sono stato poco professionista». Sbuffa e sorride, mentre lo dice. Con poca convinzione. È il momento cruciale della chiacchierata con i media. A Bergano è arrivato con qualche minuto di ritardo alla riunione tecnica delle ore 13, come scritto sulla lavagna in albergo. La società, informalmente, fa sapere: poco meno di dieci minuti, anche per evidenziare che l’attesa del tecnico non è stata breve. Il calciatore, invece, ha fatto sapere, anche lui in via non ufficiale, di essersi presentato solo tre minuti dopo (era in camera con le cuffie, il team manager Scaglia è andato a chiamarlo). Quando, però, è entrato nella stanza, Luis Enrique si è arrabbiato. De Rossi è rimasto colpito per la reazione dell’asturiano, visto che non credeva di aver fatto chissà che cosa. Il tecnico, non ricevendo la risposta che si aspettava, allo stadio, prima gli ha detto che non avrebbe giocato: dunque, in panchina. Il passaggio successivo, dopo le spiegazioni chieste dal centrocampista, è stato la tribuna. A quanto pare Luis Enrique ha vissuto malissimo quei minuti. La formazione, senza De Rossi, era da cambiare. Kjaer, fino a quel momento titolare, passa in panchina: per proteggerlo, dirà l’allenatore ai dirigenti. Il danese, caricato in settimana personalmente dal tecnico, chiede perché. Non capisce che cosa c’entri lui. La replica è immediata: in tribuna. Insomma fa tutto Lucho. Qualche senatore, come Perrotta, prova, inutilmente, a calmarlo. De Rossi non racconta tutti questi particolari. Ma le sue parole non sono in contraddizione su quanto accaduto in quella sala della riunione tecnica. «Non scendo nei dettagli. Non avrei alcun problema a farlo. Ma l’allenatore ha detto che devono restare nello spogliatoio e io ascolto quello che dice lui. Poi hanno detto tutto i dirigenti…». Quindi è il ritardo ad aver scatenato l’ira di Luis Enrique. «Ma io non gli ho mancato di rispetto. Lui questo non lo ha detto. Ha, invece, spiegato che non mi ha visto pronto. Non sono il burattinaio che tiene i fili e obbliga tutti a dare una versione che mi fa comodo. Io ci sono rimasto male, questo è vero. Volevo giocare. e sono rimasto sorpreso, perché non mi aspettavo quel provvedimento. Io sono stato sempre puntuale, lo hanno fatto notare pure i dirigenti». Aggiunge un particolare legato ai ritardi: «Prima delle notturne all’Olimpico possiamo arrivare a Trigoria entro le diciassette. Chi non si presenta in tempo, non gioca. Nemmeno il traffico vale come scusa. Ma non siamo in un regime nazista, viviamo comodamente: se avessi avuto sempre lui come allenatore, avrei fatto qualche anno in meno di ritiri e faticato meno». Ci tiene, però a dire che «non devono certo essere Baldini e Luis Enrique a insegnarmi come comportarmi, a quello ci hanno pensato mamma e papà». E a Prandelli che, elogiando l’allenatore della Roma, ha sottolineato come «i ragazzi del settore giovanile per cinque anni saranno sempre puntuali», Daniele risponde indirettamente: «Dall’inizio della carriera non ho mai fatto ritardi». A chi, come Cosmi e Zeman, l’hanno ritenuta una punizione esagerata, risponde: «Il primo è un amico, l’altro lo stimo: ma se la Roma a Bergamo avesse vinto senza De Rossi, il giudizio sarebbe stato diverso. Non fatemi sentire colpevole per la sconfitta: la squadra ha perso anche con me in campo. A Firenze c’ero. E a Cagliari e a Siena non era successo niente prima, eppure abbiamo perso. È una stagione troppo altalenante»