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IL ROMANISTA. Ragazzi, lassù qualcuno vi ama!

Agostino Di Bartolomei

(C. FOTIA) –«Chi se non Ago può essere definito un eroe?». Può essere che io sia stato molto colpito da queste parole pronunciate da Franco Baldini, per un fatto generazionale. Ago, per i romanisti della mia generazione, è il capitano del primo scudetto che abbiamo vissuto. I nostri “pischelli” di oggi sono stati abituati bene, ma per noi, “pischelli” di allora, solo Coppe Italia, ma un amore infinito,«mai schiavo del risultato». Quell’anno lo ricordo benissimo. Avevo appena terminato il servizio militare, cominciavo la mia carriera giornalistica. Il giornale dove lavoravo, Il Manifesto, era molto austero e si occupava quasi niente di calcio. Anzi, dopo la vittoria degli azzurri ai Mondiali di Spagna, ci fu un’accesa discussione attorno al fatto se fosse opportuno o no esultare per quella vittoria. Io naturalmente ero tra gli esultanti e lo fui ancor più quando, quasi un anno dopo, la Roma vinse lo scudetto. Conquistai addirittura un’apertura di pagina sulla festa popolare che seguì quella vittoria che celebrammo anche con uno storico articolo di Paolo Franchi in prima pagina che celebrava “il riformismo romanista” di Liedholm. Scusatemi per questo amarcord, ma certe passioni le puoi raccontare solo se le filtri attraverso il “vissuto”, che non è mai banale se rimanda all’esperienza di tanti altri. Quegli anni ci proiettarono per la prima volta in una nuova dimensione di competizione con le grandi squadre del nord, fino a quel momento padrone del campionato, in particolare la Juventus («il mio derby è contro la Juve», diceva il Divino Falcao). Nulla di quello che siamo oggi sarebbe nato senza quel salto di qualità che ci ha portato a un rango poi mantenuto, tra alti e bassi, con lo straordinario picco dello scudetto del 2001, fino ad oggi. Comunque è storicamente corretto individuare nella squadra di Ago la fonte della Roma del nuovo secolo, la Roma dei capitani romani e romanisti. Ma c’era un buco da colmare, nella nostra memoria e nella nostra storia.

Perché Ago pose tragicamente fine alla sua vita lontano dalla Roma e da Roma. Esattamente dieci anni dopo quella surreale finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool (di cui ho rivisto stralci solo più di vent’anni dopo, assistendo allo straordinario spettacolo teatrale di Giuseppe Manfridi e Daniele Lo Monaco) Ago decide di farla finita. Ci ha lasciato un vuoto e tante domande. Alcune di esse possono fare male. Perché i nostri uomini migliori (e qui parlo non solo e non tanto di calcio e della Roma) spesso finiscono per essere misconosciuti, dimenticati, offesi?

Il coraggio non sta nell’avere le risposte, ma nel sapere che quelle domande esistono e ci interrogano: perché tante volte siamo così cattivi e irriconoscenti verso i simboli della nostra storia? Ecco perché quella definizione di Ago come eroe eponimo della Roma, mi colpisce e mi conquista. Probabilmente una certa affinità culturale mi rende semplice comprendere cosa volesse dire Franco Baldini. Sono pronto a giurare che anche lui, come me, sceglierebbe come eroe dell’Iliade Ettore invece che Achille, l’uomo contro il semidio. Perché l’eroe non è l’invincibile, ma colui che, quasi sempre incompreso, mette in gioco tutto se stesso per quello in cui crede. E’ colui che ci ricorda che non si deve vincere a ogni costo e con qualsiasi mezzo. Che le vere vittorie sono quelle coerenti con i propri ideali. La nuova Roma è anche questo. E per questo ci piace sempre di più. La forza di questa memoria, di questi uomini che hanno fatto la nostra storia può essere l’arma in più anche per conquistare il presente. Il presente che batte alle porte fin da oggi pomeriggio. Ricordatelo ragazzi, lassù qualcuno vi ama.

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