(T. Carmellini) – Biancaneve e i sette nani è un bella storia, il mitico Walt Disney l’ha presa a modello da una novella dei fratelli Grimm e trasformata in un classico dell’animazione dai principi ispiratori: il lavoro unito di un gruppo, la bellezza, il bene e il male. Ma nel calcio italiano, nonostante l’ormai fastidioso buonismo che regna un po’ ovunque, le favole durano poco e per poterle raccontare c’è bisogno di tempo e denaro. La nuova Roma li ha avuti entrambi: i soldi, quelli di una nuova proprietà che fin qui ci ha messo forse anche più di quanto dovuto. E il tempo: di una piazza che gli ha sostenuto allo sfinimento un gruppo che in altre epoche sarebbe stato già dilaniato. Ma allora cos’è che non va nella Roma? Perché a un passo in avanti ne seguono due indietro? E va bene che questa doveva essere una stagione di transizione, ma forse è giunto il momento di provare a dare un senso e una direzione a questo gruppo. Troppe le nuvole nere rispetto ai rari squarci di sole che avevano fatto gridare alla fine dell’inverno. Altro che primavera, questa rischia di diventare una stagione d’inferno e la faccia smarrita di Luis Enrique dopo la legnata rimediata al Sant’Elia racconta molto più di qualsiasi intervista… o comunicato.
Ma non può essere lui l’unico colpevole… anzi, almeno lui ci ha provato, con scarsi risultati fin qui, ma ci ha provato. E continuerà a farlo, perché a questo punto del «progetto», esattamente a metà del guado, non si può tornare indietro. Un solo modo per dare un segnale e rialzare la testa: vincere domani con l’Inter magari dando una lezione di gioco alle minestre del passato… dura! Non sarebbe la soluzione, ma almeno un segnale di risveglio: a questo punto indispensabile!