(F. Balzani) – Eriksson, come fu il suo approccio con la Roma?
«Arrivai con tanto entusiasmo, ma all’inizio andava tutto storto. Non potevo andare in panchina perché all’epoca i tecnici stranieri non potevano allenare. Pensai di aver sbagliato a scegliere l’Italia».
È vero che lo spogliatoio la detestava?
«Con Liedholm la squadra aveva certe abitudini, io ero più preciso, più noioso. E lo ero con campioni affermati come Pruzzo e Conti. Forse volevo cambiare troppo, ero troppo rigido, col senno di poi sarei stato diverso, mi sarei ammorbidito. Conti ad esempio, voleva più autonomia, io gli chiedevo troppo: non ho saputo sfruttare la sua fantasia. Chiudemmo al settimo posto».
Sembra la cronaca delle difficoltà di Luis Enrique.
«So che è ambizioso come lo ero io. Ho visto qualche partita, mi piacciono le sue idee».
Viene accusato di eccessiva rigidità. Suggerimenti?
«Roma è una città splendida ma pericolosa. Io dovetti cambiare alcune abitudini, come quella di non andare in ritiro prima delle partite. Al secondo anno finalmente era la mia Roma: da Pruzzo al giovane Giannini, tutti avevano capito cosa volevo. Bisogna avere solo un po’ di pazienza».
Ma che accadde in quel Roma-Lecce che le costò lo scudetto?
«Mi sono sempre rifiutato di riguardare quella partita. Ho sentito tante voci sul comportamento dei giocatori, ma non ci ho mai creduto. Quella settimana avrei dovuto portare la squadra al Nord, lontana dall’entusiasmo di una città che già si sentiva campione».
Domenica c’è il derby, ne ricorda qualcuno?
«Uno, da allenatore della Lazio: ci avevano espulso Favalli ma vincemmo lo stesso».
Domenica chi vince?
«Nel derby non ci sono favoriti. Visto che sono stato su entrambe le panchine dico 1-1, con gol di Totti e Klose».