(V. Meta) Deve ancora compiere diciassette anni il primo acquisto del calciomercato invernale, ma ha già fatto in tempo a toccare le due sponde dell’Atlantico, giocare in Lega Pro contro avversari che avevano anche il doppio dei suoi anni, allenarsi accanto ai calciatori per cui faceva il tifo da bambino e arrivare in Nazionale. Non è uno come gli altri Jonathan Alexis Ferrante, Jonathan sulle distinte, semplicemente Alex quando ti stringe la mano. La Roma lo ha preso a gennaio dal Piacenza pagandolo quattrocentomila euro e l’ha aggregato alla Primavera nonostante sia in età per il campionato Allievi, ma le presenze raccolte fra Coppa Italia e Viareggio sono solo l’ultimo capitolo di una storia cominciata dall’altra parte dell’Oceano.
ESORDI «Sono nato a Buenos Aires – racconta Ferrante – e sono in Italia da sette anni. Quando sono arrivato ho iniziato subito a giocare, ho fatto tanti provini con l’Inter, ma la mia prima squadra è stata il San Colombano, una piccola società dove sono rimasto per due anni. Poi sono passato al Piacenza, con cui ho fatto Giovanissimi, Allievi e poi sono passato subito in prima squadra. È stato un bel salto, molto importante. Ho imparato tantissimo. Mi allenava Francesco Monaco, che mi ha aiutato tanto ad andare avanti e migliorare». Per permettergli di inseguire il suo sogno, la famiglia l’ha seguito dall’Argentina all’italia: «Sono tutti qui con me. Mia mamma è proprio argentina argentina, la famiglia di papà invece è italiana, anche se papà è nato in Argentina. Per il resto sono tutti italiani e anch’io ho preso la cittadinanza da lui. Diciamo che il calcio non è stato l’unico motivo del trasferimento, c’erano anche ragioni di lavoro. Però il mio allenatore in Argentina mi aveva consigliato di venire perché c’erano squadre interessate a me, l’Inter soprattutto, io allora giocavo nell’Argentinos Juniors, quando sono venuto qua ho iniziato in una squadra piccola perché non mi potevano tesserare, visto che avevo bisogno della cittadinanza e non ce l’avevo, Perciò sono rimasto per due anni al San Colombano, da lì c’è stato il Piacenza. Con l’Inter ho fatto tanti provini, ma non mi hanno mai tesserato, se avessero potuto credo che mi avrebbero preso».
VITA NOVA «Il trasferimento in Italia – prosegue – è stato un bel cambiamento, i ritmi di vita sono diversi, e anche quelli degli allenamenti. Là in Argentina è tutta tecnica, anche se adesso hanno iniziato a fare anche un po’ di lavoro fisico, ma quando ero piccolo prendevamo la palla all’inizio e non la lasciavamo più». Un po’ come Luis Enrique? «Sì, è vero! Io non ero abituato a quello che ho trovato qui, dove anche ai bambini insegnano la tattica. E poi qui a undici anni giochi nel campo a undici, mentre in Argentina fino a dieci anni devi giocare per forza nel campo da calcetto e lì impari molto la tecnica. Ho fatto sempre l’attaccante, qualche volta anche il trequartista. Quando sono arrivato in Italia mi hanno fatto entrare in un ritmo di gioco al quale io non ero abituato, non sapevo come fare. Là prendevo la palla e andavo da solo, qua invece volevano che giocassi molto di più con la squadra e se non passavo la palla si arrabbiavano. Ora mi sono abituato, anche se ancora non ho assimilato del tuttto».
ROMA «Quando nel Piacenza sono arrivato stabilmente in prima squadra giocando anche da titolare, a un certo punto mi hanno detto che c’erano squadre che mi cercavano, oltre alla Roma c’erano Fiorentina, Napoli, Manchester City. Ho sentito parlare anche del Barcellona ma non so bene i dettagli, comunque l’interesse più forte era quello del City. Il Piacenza si trovava in un situazione complicata, la società stava per fallire. Io non avevo un contratto da professionista, mi aiutavano con i rimborsi spese e la mia cessione ha dato una mano per pagare gli stipendi ai miei compagni. Qui a Roma non vivo al pensionato, ho preso casa con i miei al Torrino, vicino a Totti. La scuola per il momento l’ho accantonata perché quando mi allenavo in prima squadra a Piacenza non riuscivo ad andarci. Per quest’anno smetto, poi quando mi sarò sistemato magari riprendo.
FERRANTE FAMILY «I miei mi hanno sempre seguito, dall’Argentina al Piacenza e ora qui a Roma, al pensionato ci sono stato giusto una settimana, il tempo di fare il trasloco. Siamo io, mamma, papà e mio fratello di diciannove anni. In famiglia non ci sono calciatori. Qualcuno dalla parte di mamma ha giocato, ma a livelli bassi, io sono il primo a essere arrivato in nazionale. Diciamo che non ho preso da qualcuno in particolare, le cose che ho fatto me le sono guadagnate con tanto sacrificio».
IL CUORE «La Roma mi piace moltissimo come squadra, ma in Argentina tifavo el Boca. Quando mi sono ritrovato davanto Burdisso sono rimasto incantato. Era bellissimo, non mi era mai successo di incontrare un calciatore importante come lui che giocava nella mia squadra. Anche incontrare Heinze e Gago era come vedere non so che. E poi pure Lamela tifava Boca, pur giocando nel River… Burdisso è stato molto gentile, quando sono arrivato ci siamo presentati e mi ha detto di chiamarlo per qualsiasi cosa. Non me lo sarei mai aspettato da un giocatore arrivato, in fondo io sono solo un ragazzo della Primavera». IL CAMPO «Mi sono già allenato con la prima squadra ed è andata abbastanza bene. È stato quando c’erano tanti giocatori in nazionale la settimana prima del derby. Luis Enrique mi parlava in spagnolo, gli rimane più facile e io lo capisco benissimo. Mi diceva di giocare la palla, è un allenatore fortissimo, anche lui mi ha aiutato tanto. Al Piacenza era difficile, ma anche stare con loro non è facile per niente. Qui c’è un altro ritmo e il mister mi ha fatto sentire subito a mio agio».
PRIMAVERA DI SOGNI «Mi dispiace non aver giocato la finale di Coppa Italia, ma dovevo pensare all’Under 17 (le qualificazioni europee, oggi l’ultima partita, ndr), all’Olimpico sarebbe stato bello, ti viene voglia se ti metti a pensare, ma la nazionale era ugualmente importante. L’Argentina? Mi avevano detto che forse mi avrebbero chiamato, ma alla fine sono qui. Il giorno che ho esordito in Primavera con la Roma ho fatto nevicare! A Milano (semifinale di ritorno di Coppa Italia contro il Milan, ndr) sono entrato bene, stavo per segnare e anche dopo ho avuto un’altra occasione, una di destro e una di sinistro. Anche al Viareggio stavo per fare gol alla prima partita, ho tirato e preso il palo, poi sulla ribattuta ha segnato Leonardi. Dalla serie C alla Primavera è molto diverso perché in C1 i ritmi sono più intensi, devi per forza pensare prima di ricevere il pallone, prima che ti vengano addosso. Poi là se salti un giocatore è palla o gamba, perché devi vincere, c’è pressione. Io c’ero quando quel tifoso è venuto al campo a Piacenza, ho pensato che ci menava tutti quanti (ride). Era abbastanza arrabbiato perché non stavamo vincendo, ma poi ha chiesto scusa a tutti».
IO, DANI E BATI «Non sono uno che si emoziona tanto facilmente. Cerco di dare sempre il massimo, ho tanta voglia di giocare e quindi penso solo a quello, a volte provo tante giiocate anche se sono teso. Fuori dal campo? No, io calcio e basta! Adesso che non vado a scuola mi alleno a volte anche la mattina per conto mio. A chi mi ispiro? Il mio modello è sempre stato Batistuta. Ora sto nella stessa squadra di Osvaldo. Ci ho parlato una volta, in effetti abbiamo una storia un po’ simile. E anche lo stesso idolo..».