(M. CASACCIA) – Dialettale, mica spagnolo. E niente c’entra la ballata per la guajira di Guantanamo. Ma l’importante, per il Genoa, sarà guantare Lamela. Senza Totti, è il Coco, designato successore del Pupone (disse il 10 giallorosso: «Spero diventi il mio erede»), l’uomo assist decisivo della Roma di Luis Enrique. Come a Palermo, la classe dell’argentino al servizio del PirataBorini.
Lunedì, all’Olimpico, i due baby terribili e Osvaldo al centro, all’attacco del Grifone. Erik Lamela con partenza da sinistra per dribbling, progressioni palla al piede e passaggi filtranti, il campionario che a 20 anni appena compiuti ha già messo in vetrina anche in Italia. Come arginare il talento, splendente quanto i vezzosi brillantini ai lobi, del ragazzino di Baires, faccia pulita e sinistro delicato? L’angelo dalla faccia sporca (semplicemente barbuta), quello che ha 33 anni ma corre come se ne avesse sempre 20, tuttofare che lunedì all’Olimpico sarà ancora una volta terzino destro: Marco Rossi a incrociare per primo Erik, guanta Lamela.
L’ha preannunciato il ds Capozucca ieri: «Le chiavi della gara saranno gli attaccanti». Il capitano rossoblù, lucchetto per la stellina giallorossa. E se lo chiuderà, per il Grifone e pure per la Seleccion, mille gracias da Rodrigo Palacio. Così uguali, così diversi, gli “spaccapartita” di Roma e Genoa. Stesso ruolo, a grandi linee: attaccante esterno o seconda punta di fantasia. Stesso numero di maglia, l’8. E una casacca da conquistare nell’Argentina di Messi, entrambi convocati all’ultimo giro per l’amichevole con la Svizzera. Sudamericani tutti casa e campo, stessa passione viscerale per la playstation. Stessa provenienza degli avi, la Spagna che dà il doppio passaporto: la mamma di Erik,Miriam, è spagnola, come José Ramon Palacio, padre di Rodrigo e già calciatore del Club Olimpo di Bahia Blanca, il quale nacque in un paesino in Cantabria ma ancora bambino emigrò in Argentina con la famiglia in fuga dalla Guerra Civile. E si torna nella Spagna del nord, in Galizia, per un altro intreccio fra i due, di color blaugrana.
Nel 2004, a soli 12 anni, Lamela segnò un pokerissimo al Torneo Arousa di Vilagarcia, non lontano da Santiago de Compostela, che lo mise sul cammino del Barcellona. Il club catalano per lui mise subito sul piatto 120mila euro (con l’appoggio dello sponsor Nike disposto a sborsarne 8mila aggiuntivi), ma il River Plate riuscì a resistere e convinse papà José, conosciuto al barrio Carapachay come el panadero (della panetteria di famiglia adesso si occupa nonna), con il 20%del cartellino del figlio Erik e borse di studio per i fratelli Axel e Brian.Ora vivono tutti insieme (compresa la fidanzatina Sofia) nella villa trovata da Totti nel quartiere Axa di Roma.Pagato 12 milioni (con i bonus, in realtà, si viaggerà verso i 20, ma la sua quotazione è già sui 30), mentre per Palacio nell’estate scorsa (e nella capitale si dice che tornerà alla carica, alla pari di Inter e Juventus) il ds giallorosso Sabatini ne offrì 11. No di Enrico Preziosi.E buon per il Genoa che, nel 2007, era sfumato in extremis il passaggio al Barcellona di Rodrigo, divenuto rossoblù due anni dopo.
Blaugrana non nel destino, per l’argentino con la Trenza e quello con la cresta, lunedì duellanti. Dieci anni di differenza, dal 1982 al 2002, dal Mundial di Spagna all’Europeo del miracolo Danimarca. Lamela: «Tutti gli argentini vogliono diventare come Maradona, ma io non l’ho mai visto dal vivo». Palacio sì. Calcisticamente, come dire prima e dopo Cristo. E a metterli su opposte barricate, oltre a Roma Genoa, c’è la provenienza da clasico bollente: Erik dal River Plate, Rodrigo dal Boca Juniors. Sapore di derby, figurarsi se capitan Rossi non guanta.