(A. Pontani) – Eppure non sarebbe difficile: andare davanti a una telecamera, con la disinvoltura ormai acquisita dalla consuetudine, e dire poche parole, magari anche pacate, purché indiscutibilmente chiare: certa gente, noi, non la vogliamo più. Sarebbe stato facile, ad esempio, per Andrea Agnelli, che pure ha dimostrato di conoscere bene la potenza della comunicazione e l’importanza di “metterci la faccia” (e il cognome), festeggiare la magnifica nottata della qualificazione alla finale di Coppa Italia presentandosi alla Rai per dire: sono felice, certo, felicissimi. ma la gente che ha ululato contro Seedorf e gli altri a casa mia non la voglio più vedere, mai più. E saremo noi, la Juventus, il primo club l’Italia, a sbattere fuori i razzisti per sempre, identificandoli, denunciandoli, privandoli dell’usurpato titolo di tifosi.
Sarebbe semplice e bello, ad esempio, per Franco Baldini, che ha fatto dell’etica, dei principi e della pulizia le bandiere del progetto Roma, chiedere spazio a uno dei tanti sempre pronti a intervistarlo su Totti e Luis Enriquee dire pubblicamente: la vittoria della Coppa Italia da parte della nostra squadra Primavera è la bussola che ci indica la strada, certo. Ma quelle urla infami su Pessotto che hanno sporcato la freschezza della notte dell’Olimpico sono un cancro che estirperemo con la stessa convinzione con cui difendiamo le nostre idee di rinnovamento.
Cose così, chiare. Perché il calcio è bello, stupendo quando lo stadio è pieno come nel caso di Torino o aperto a tutti come nel caso di Roma, quando le partite sono leali, quando sul campo resta solo lo sport, l’emozione, l’entusiasmo. Ma il calcio è orribile quando la sua musica di sottofondo è fatta di vigliaccheria e di intolleranza, troppo facilmente e troppo spesso confuse con la meno pericolosa stupidità. Sarebbe bello che chi ha la responsabilità di club importanti, famosi, amati, seguiti comeJuventus e Roma, non continui ad aspettare per sempre che qualcun altro alzi la voce – la federazione, la stampa, i giocatori bersagliati Sarebbe invece ora di far sentire la propria, di voce, che conta. Magari convincendo pure chi ancora di più conta, i campioni, gli allenatori, a dare una mano. Sarebbe bello, sarebbe un sogno, sarebbe una svolta. E cancellerebbe l’amara impressione che sia invece molto più comodo tacere, lasciando che continuino le urla nel silenzio.