(F.Bocca) –Non c’è mai una maniera giusta o buona per morire, ma se ce ne è una ingiusta e cattiva è proprio su un campo di calcio. Puoi aspettartelo durante una gara di formula 1, durante una di moto, perché sono sport rischiosi, puoi aspettartelo durante una di quelle folli discese in un Giro d’Italia o al Tour de France perché lì i ciclisti si buttano giù “a tomba aperta” come dice il dolce Mario Fossati, durante una discesa libera o una manche di bob, durante un assalto di scherma addirittura o durante una gara di fondo massacrante magari, ma su un campo di calcio no. E’ quasi inspiegabile, e non dovrebbe esistere. La sensazione è sempre quella di 35 anni fa quando il calcio restò sconvolto dalla morte di Renato Curi, allora 24enne, durante Perugia-Juventus dell’ottobre 1977. Infarto anche quello, allora come oggi. Anche se non si esclude un aneurisma cerebrale e dovrà essere l’autopsia a stabilirlo. In ogni caso lo stesso sgomento e lo stesso enorme senso di vuoto che lasciano le tante, troppe domande cui cercare di rispondere. Curi si accasciò a terra dopo appena cinque minuti di partita. Oggi come allora si sono rivissuti proprio quei drammatici istanti. Un giocatore che crolla a terra, medici e massaggiatori intorno che tentano un massaggio cardiaco, i compagni con le mani nei capelli, lo stadio muto. La morte di Piermario Morosini, un ragazzo di 25 anni nel pieno della sua maturità sportiva, si porta dietro non solo il dolore umano e personale per la tragedia umana – una famiglia disgraziatissima e perseguitata dai lutti – ma tutti quei dubbi che adesso non trovano spiegazione. E qui è difficile trovare un perché, sapere se era stato fatto tutto per mettere Piermario al sicuro da un evento del genere. Non è la prima volta che accade certo, so però che adesso come mai sta accadendo tante volte, troppe volte. In pochi mesi abbiamo assistito al caso di Fabrice Muamba del Bolton il cui cuore si è fermato addirittura – pare – per 78 minuti. C’è stato il caso di Vigor Bovolenta nella pallavolo, e ancora la morte di Franco Mancini, 43 anni, che aveva smesso di giocare appena 4 anni prima. E altri casi di atleti con problemi cardiaci. La Federcalcio ha fermato tutti i campionati con grande sensibilità, dovuta al dolore che in questo momento sconvolge soprattutto la comunità dei calciatori. Ma sarà importante anche per riguardare per l’ennesima volta tutti i protocolli sanitari di controllo, i meccanismi che consentono l’idoneità, e anche quelli organizzativi (non può esserci una macchina a ostruire il passaggio dell’autombulanza, mentre risulta che di defibrillatori ce ne fosse anche più di uno). Non penso ci si possa rifugiare nella certezza che si stia già facendo il massimo, forse si dovrebbe fare semplicemente qualcosa di diverso. E in ogni caso cosa e quanto fare dovrebbe riesaminarlo magari una commissione medica. Fossi il Coni o la Federcalcio soprattutto di questo mi preoccuperei. Se è vero che la medicina sportiva italiana è all’avanguardia nel mondo vorremmo sapere com’è possibile che due atleti come Bovolenta e Morosini siano morti in campo nell’arco in appena 20 giorni. Il lutto e il dolore diventeranno presto un fatto privato e profondo della famiglia e degli amici di Piermario, ma tutti gli altri – una volta passato il lutto – avranno il dovere di rispondere alla domanda più importante: avremmo potuto evitarlo?
Fonte: Repubblica.it