Secondo il giudice, alcuni calciatori del Bari vendevano le partite che disputavano “anche contemporaneamente su più tavoli, sia che gli interlocutori fossero stranieri (zingari come per Palermo-Bari, ndr) senza scrupoli (…) sia che si trattasse di allibratori, faccendieri e ristoratori locali, della cui compagnia, peraltro, gli atleti biancorossi, o almeno alcuni di essi, erano soliti circondarsi”. “D’altra parte la stagione calcistica si era rivelata oltremodo fallimentare, si profilava il rischio concreto di non vedersi più elargire gli stipendi da parte della società che era in crisi, dopo la retrocessione le quotazioni di mercato dei singoli giocatori erano in intuibile ribasso e nella singolare interpretazione, affetta da distorta logica machiavellica, delle proprie prestazioni resa da parte di simili atleti professionisti il fine di lucro giustificava pur sempre il mezzo”.
Fonte: Sportnews