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CORRIERE DELLA SERA Uno stadio senza più muri

Curva Sud

(L. Valdiserri) – Il furore della curva e gli applausi di altre parti dello stadio. Non è la prima volta che succede e sicuramente non sarà l’ultima. Sabato sera, alla fine della partita tra Roma e Napoli, quandoFrancesco Totti ha portato i suoi compagni «a metterci la faccia» sotto la Sud,mentre gli ultrà gridavano il loro disappunto, la tribuna in gran parte applaudiva. Perché aveva visto una squadra provare a metterci il gioco fino a che ha avuto la forza (primo tempo) e provare ametterci il cuore quando le forze erano finite e l’avversario, più completo, era diventato padrone del campo e della partita (secondo tempo). È stata una divisione di censo? Il tifo ricco della tribuna contro quello popolare della curva? Forse.

Il contrasto è stato comunque netto e certifica due fatti: 1) c’è sempre meno spazio per l’analisi nel calcio, soprattutto quando si parla di Roma, e c’è una divisione manichea che vede tutto il bene da una parte (la propria) e tutto il male dall’altra (quella altrui) ; 2) si parla ormai da anni di stadi nuovi per risanare il calcio, senza capire che il passo non può essere soltanto edilizio ma deve essere anche personale, culturale e sportivo. Il simbolo è la divisione in plexiglass che all’Olimpico, come in tutti gli stadi italiani, separa il pubblico dai calciatori.

È questo «muro» che sabato sera ha permesso una specie di recita rituale dove i calciatori potevano avvicinarsi al fuoco senza scottarsi ma, soprattutto, chi voleva dare in escandescenze poteva farlo in modo molto coreografico ma, tutto sommato, ben dentro i limiti (laschi) che sono concessi dentro uno stadio di calcio. Un luogo, cioè, dove un bambino non può portare una bottiglietta d’acqua ma entrano senza problemi bengala, raudi e «bomboni».

La mancanza di recinzioni negli stadi è stata invece la prima regola voluta dal Taylor Act, la legge di Stato che in Inghilterra è stata la risposta alla terribile sciagura dello stadio di Hillsborough, a Sheffield, dove trovarono la morte 96 spettatori. C’è invece un muro reale, che simboleggia un muro ideale, che rende il calcio italiano così poco attraente e così legato a una logica di opposizione e non di spettacolo. La contestazione ai giocatori del Genoa, costretti a togliersi le maglie da gioco perché «indegni di portarle », ha segnato il punto forse più basso del nostro calcio inteso come sport e non come rappresentazione di una guerra.

Dalla serata di sabato, però, è arrivata anche un’altra immagine. Quella di Fabio Simplicio che, dopo il gol del 2-2, ha sconfinato in tribuna per andare a baciare moglie e figlio tra il pubblico. Ha trovato, per fortuna, chi gli ha aperto la porta per poter salire gli scalini che lo dividevano dai suoi affetti. Dicono: lo aveva fatto anche il portiere spagnolo Iker Casillas, dopo la finalemondiale vinta l’11 luglio 2010 a Johannesburg, quando stampò in diretta un bacio sulla bocca di Sara Carbonero, giornalista televisiva e sua fidanzata. Vero. Ma, nella sua tenerezza un po’ burrosa, Simplicio ha fatto qualcosa di più. Ci ha ricordato perché dovremmo andare allo stadio: per condividere emozioni con chi amiamo. 

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