La Digos della città abruzzese ha prelevato due apparecchi, quello che era nell’ambulanza che ha portato in ospedale il giocatore del Livorno e quello che si trovava in campo. Interrogato uno dei soccorritori del 118: ha confermato di aver segnalato la presenza dei due defibrillatori ma che nessuno lo ha ascoltato
I due defibrillatori che forse potevano essere utilizzati per tentare di salvare la vita di Piermario Morosini sono stati sequestrati questa mattina dagli agenti della Digos. Sono al centro dell’inchiesta della Procura di Pescara che indaga per “omicidio colposo”. I due macchinari, che pure erano a disposizione dei tre medici accorsi in aiuto di quel corpo esanime, durante quei drammatici e concitati dieci minuti successivi all’arresto cardiaco del giovane calciatore del Livorno non sono mai stati utilizzati. Sono stati i magistrati Cristina Tedeschini e Valentina D’Agostino a chiedere il loro sequestro. Si tratta, per la precisione, del defibrillatore che si trovava nell’autombulanza del 118 che ha trasportato Morosini in ospedale (che è la stessa che è arrivata in ritardo a causa di un’auto dei vigili parcheggiata male). L’altro, invece, è forse il più importante dei due: è il defibrillatore portato sul terreno di gioco dal personale di pronto intervento durante i primi istanti dei soccorsi. Intanto questa mattina è stato interrogato Marco Di Francesco, infermiere dell’ospedale e che faceva parte dello staff del pronto intervento accorso sul campo di gioco al momento della tragedia. “Il defibrillatore in campo c’era, ed era a due passi dal calciatore che era steso a terra, ma non è stato mai utilizzato, almeno da quanto ho visto io…” ha ripetuto alla Digos. “Anzi, in mezzo a quella confusione ho provato anche a far presente per ben due volte che era disponibile… Ma c’era troppa concitazione. Le decisioni da prendere spettavano, però, solo al medico arrivato per primo sul ragazzo a terra e che, in quel momento, era per tutti il responsabile dei soccorsi”. E secondo le prime testimonianze – che dovranno essere vagliate e confermate dalla Procura – il medico in questione era quello del Livorno, Manlio Porcellini. E sulla vicenda ieri Porcellini ha preferito non rilasciare dichiarazioni. “C’è un’inchiesta. Deve fare il suo corso e verificare quanto accaduto. Per questo, insieme con la società abbiamo scelto il silenzio stampa” ha spiegato al telefono. Ieri pomeriggio, invece, è stato interrogato Leonardo Paloscia, primario di cardiologia dell’ospedale civile di Pescara. Paloscia è stato l’ultimo dei tre medici ad arrivare sul terreno di gioco, infatti, durante la partita si trovava in tribuna come spettatore. Il primario è stato ascoltato dagli agenti della Digos come persona informata sui fatti ed ha confermato quanto già dichiarato a Repubblica.it: sull’autombulanza che ha trasportato Morosini dallo stadio fino all’ospedale civile di Pescara, il defibrillatore non è stato utilizzato. “Sinceramente conoscendo il protocollo che si rispetta in questi casi, pensavo che fosse già stato applicato al giocatore sul campo…” ha detto agli inquirenti. “Rispetto all’uso del defibrillatore sull’autombulanza, ritengo che possa essere stato influente considerando che il tragitto è stato molto breve: appena tre minuti. Poi, una volta al pronto soccorso, Morosini è stato sottoposto a defibrillazione e a molte altre cure”.
Fonte: Repubblica.it