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IL MESSAGGERO Luis: “Non mi vergogno”

Luis Enrique

(U. Trani) – «Sono l’unico colpevole, ma non mi dimetto. Non mi vergogno della squadra, anzi sono orgoglioso dei miei calciatori. Orgoglioso con la lettera maiuscola». Slogan all’interno di un lungo sfogo. Perché, dopo il collo di Lecce, Luis Enrique va all’attacco. (…) Davanti alle telecamere. Stasera all’Olimpico la Roma affronta l’Udinese quarta e 4 punti in più dei giallorossi, in teoria ancora scontro diretto per la zona Champions, anche se il terzo posto è di nuovo distante 7 punti. Ma l’asturiano, senza perdere di vista il match, alza la voce per difendere il suo gruppo e se stesso. Se i dirigenti, a cominciare dal dg Baldini,hanno chiamato in causa i singoli «sopravvalutati caratterialmente», lui se li tiene stretti con pregi e vizi. Per non perdere il controllo della situazione si schiera pubblicamente al fianco della sua squadra. Per non essere scaricato nel momento cruciale di un’annata finora orribile. Non si nasconde, dunque, e rilancia. Prendendosi la responsabilità totale del flop.

Si accende, con rabbia, su diversi argomenti. Innanzitutto sul legame che ha con il gruppo. «Sono orgoglioso di questi ragazzi. Di come si comportano e di come si allenano ogni giorno. Capisco, avendola vista sulle loro facce, la delusione dopo le sconfitte. Ne abbiamo subite tante e brutte. Ma abbiamo giocato pure qualche buona gara… Non sono colpevoli di niente. Anche se dobbiamo migliorare tantissimo. Io non mi dimetto, questo è certo. I giocatori sono con me e lo dimostrano. Quando vedrò che la squadra non mi segue o quando la società mi dirà che non sono la persona giusta andrò via. Insomma, dipende da che cosa succede». Garantisce, con convinzione, sull’unità di intenti, negando che Trigoria sia simile a una polveriera. Si rivolge ai tifosi, per chiarire che non «c’è alcuna lotta interna». E ringrazia la gente, anche se regna l’indifferenza. «C’è sempre stato un clima ottimo e perfetto. Il tifo merita un dieci: noi non siamo all’altezza del nostro pubblico. Proveremo ad arrivarci, ma è difficilissimo raggiungere il livello di questo tifo. Mai vista tanta fedeltà».

E’ leale: «Non massacrate i giovani. Che cosa volete da questi ventenni? Ne ho visti tanti, a quell’età, fare le riserve per poi diventare i migliori del mondo. Saranno loro la Roma del futuro. E lasciate in pace anche i più esperti. Basta con certe bugie. Non litigano nello spogliatoio. Purtroppo giochiamo male un giorno sì e un giorno no, non siamo regolari. Ma non vuol dire che sono cattivi e che non sono uomini. Sono ottimi professionisti: lo dico a testa alta». Punta l’indice contro se stesso: «Sono io l’unico colpevole. Ma la Roma, che vinca o no, fa sempre la sua proposta. Ha la sua identità e si vede. Dopo Natale ho visto quello che volevo: certo facciamo sempre alcuni errori che cerco di combattere ogni giorno. Se fosse facile lo avrei fatto prima. Manca qualcosa sulla tattica e sulla motivazione. Mi prendo la responsabilità. Ma ogni mattina mi sveglio con l’intenzione di fare il meglio per la Roma. Lo dico con il cuore».

Nonostante tutto, si sente ancora in corsa per la zona Champions: «Questa settimana non siamo vicini, sabato lo eravamo. Da tutta la stagione, però, ci troviamo al sesto-settimo posto da tutta la stagione. Io ho ancora l’illusione di arrivare più in alto, al terzo posto. Ma la classifica dice che siamo sesti e da tanto tempo. Se riusciamo a fare quello che non abbiamo fatto in questo campionato, cioè sette partite ad un livello superiore, possiamo farcela. Il nostro rendimento fa pensare che chiuderemo quinti, quarti o settimi. Ma io ancora punto a essere terzo. E i miei ragazzi, per le cose che ci siamo detti nello spogliatoio, pensano lo stesso».

«Per uscire da questa situazione è facilissimo: basta vincere», spiega con un po’ di fastidio. «La cosa strana è che ci riusciamo quando siamo in difficoltà e non quando possiamo, con i tre punti, fare qualcosa di decisivo per la classifica». Torna così al sabato di Lecce e alla sua resa in panchina. «Io pensavo alla partita. Ora è normale vedere gli allenatori in piedi, ma cinque anni fa erano tutti seduti. Non cambia molto. La gara per noi era importante: ma ogni volta che siamo andati vicini a metterci in lotta per il quarto o il terzo posto abbiamo fatto una figuraccia. Tutti, io per primo. E diventa difficile da comprendere. Capiamo i tifosi che si arrabbiano. Pure io sono molto deluso. Ma non esiste che i giocatori non abbiano voglia di lavorare. Dopo il primo gol di Muriel si vedeva chiaramente che la squadra non era pronta e non aveva l’atteggiamento giusto. Io non sto mai tranquillo. Sono molto esigente. Anche se vinco dieci partite di seguito non sono soddisfatto. Ci sono allenatori che hanno vinto in un anno, ma altri no. Come Crujff e Ferguson. In nove mesi devo fare tutto bene e non commettere errori?». Resta l’Udinese: «Mancano sette gare, questa è difficilissima. Sappiamo come giocano: possesso palla e ripartenze, con verticalizzazioni al top. È davanti a noi da tutta la stagione. Ma siamo vicini a loro e pensiamo di potercela fare».

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