(D. Giannini) Per tutti i novanta minuti, oppure entrando a partita in corso (forse anche oggi?), o ancora lasciando il campo per scelta o per necessità (vedi il derby di ritorno dopo il rosso a Stekelenburg). La sostanza è però che Erik Lamela è un punto fermo del calcio di Luis Enrique.
Lo dicono i numeri, che non lasciano spazio ad alcun tipo di interpretazione. Da quando ha messo per la prima voglia la maglia della Roma per una partita ufficiale El Coco non è più mancato. Il giorno del suo esordio se lo ricordano tutti: era il 23 ottobre scorso, Roma-Palermo. Ci ha messo un niente Erik a far innamorare tutti. Sette minuti, il tocco, uno sguardo al palo lontano e palla a giro all’angolino. Roba da fuoriclasse, roba da predestinato del calcio. Roba che a 19 anni è ancora più stellare. Da quel momento, si diceva, Luis Enrique lo ha utilizzato sempre. Punteggio pieno, 26 partite su 26, comprese le due di Coppa Italia (Fiorentina e Juventus) e conteggiando doppia la trasferta ripetuta di Catania. Insomma tutte le 23 giornate di campionato che ha avuto a disposizione da quando l’infortunio alla caviglia, ricordo del mondiale under 20, gli ha dato tregua. L’inizio era stato folgorante. E non solo per quel gioiello al Palermo. Nelle partite successive si era confermato, a Napoli aveva tirato fuori un altro dei suoi numeri con la palla che scompare sotto la pianta del piede. Tanto bello da inebriare anche De Sanctis che si era fatto sorprendere dal suo cross deviato. Col passare dei mesi però Erik ha perso un po’ dello smalto iniziale. Più che comprensibile per un ragazzo giovanissimo al suo primo anno in Italia e per giunta costretto a non fermarsi mai da più di un anno. Prima il finale di campionato col River, poi la nazionale argentina e infine la Roma. Una flessione l’ha accusata. Eppure Luis non se ne è mai privato di lui, anche quando gli ha concesso un po’ di respiro facendolo partire dalla panchina.
Come domenica scorsa contro il Novara. Sessantuno minuti a guardare i compagni che giocavano e segnavano, poi l’ingresso e la voglia di recuperare il tempo perduto: la palla strappata al portiere e il tentativo da 40 metri con Osvaldo a dirgliene di tutti i colori. Ma El Coco è andato dritto per la sua strada, è diventato ancora più “tignoso”, ha aspettato il minuto 91, stesso piede, quasi stessa posizione (anche se allo specchio) del gol col Palermo, stessa traiettoria. E la rabbia sfogata come se fosse una finale di Coppa. Perché l’astinenza dal gol gli pesava, anche se ha solo 19 anni, anche se ha tutto il futuro davanti a sé. Ma Erik è uno che le cose che vuole se le va a prendere. Ora con i suoi compagni vuole andarsi a prendere l’Europa delle stelle più brillanti. Che passa anche per Lecce. Dove non ci saranno davanti Totti e Borini. Pjanic invece sì. E non è escluso che Luis possa decidere di far partire il bosniaco dall’inizio. Ma solo perché altrimenti potrebbe trovarsi a metà partita senza alternative. Così invece avrebbe non una semplice alternativa, ma il suo punto fermo, la sua mossa in più: Erik. L’uomo a cui non ha rinunciato mai: 26 volte su 26.