(P. A. Coletti) – Carlo Petrini ha detto addio a 64 anni. Una vita nel calcio, data al calcio. Un anno e sette gol con la maglia giallorossa. Colori che da quel ’75-’76 ha sempre portato nel cuore.
Colori che lo hanno accompagnato nella sua vita tormentata. Doping, scommesse, esilio, malattia. Un’esistenza difficile contornata da pochi amici. Uno di questi,Daniele Lo Monaco, ha parlato a Il Romanista dell’uomo, del calciatore e dello scrittore Petrini.
Come vi siete conosciuti con Carlo Petrini?
L’ho conosciuto comprando il suo bestseller, “Nel fango del dio pallone”. L’ho letto in una notte. Io all’epoca ero direttore di Rosso&Gialloe nel libro notai degli aspetti che potevano essere approfonditi, soprattutto riguardo al suo periodo passato a Roma. Mi venne l’idea di fargli una video intervista. Ci incontrammo la prima volta nel 2000 in occasione della presentazione romana del suo libro.
Siete diventati subito amici.
Entrammo presto in simpatia, e scoprii di avere molte cose in comune con lui. Prima fra tutte un’amicizia. Nel suo libro, uno dei personaggi più misteriosi era un certo Roberto, che veniva menzionato sempre e solo con il nome. La mattina in cui dovevo realizzare l’intervista andai a trovare un mio amico per organizzare un viaggio, anche lui si chiamava Roberto. Gli raccontai che stavo andando ad intervistare Carlo Petrini e lui mi confessò di essere proprio il personaggio misterioso di cui Carlo parlava nel libro. Allora decisi di portarlo con me, e facemmo una bellissima sorpresa a Carlo. Il nostro rapporto cominciò così e si è consolidato negli anni.
Che uomo era Carlo?
Una persona con grande cuore, molto generosa, carismatica. Con quel vocione baritonale che gli dava un tono da vero ammaliatore. Un uomo affascinante. Che continuava ad avere un gran successo con le donne.
In campo che giocatore era Carlo Petrini?
Non era un fuoriclasse. Era un giocatore di temperamente che in campo dava il 110%. Io ritengo che se non avesse avuto quel carattere fumantino, che lo portò a litigare a vent’anni con uno come Nereo Rocco, e soprattutto se non avesse subito il grave infortunio ai tempi del Milan, la sua carriera avrebbe potuto essere migliore.
Alla Roma giocò una sola stagione, nel 75-76 con Niels Liedholm in panchina.
Quando arrivò in giallorosso era un giocatore già formato. Era il classico calciatore che i tifosi della Roma amano: grande generosità, grande temperamento e voglia di lottare. Il rapporto con il tifo giallorosso fu fantastico.
Petrini è ricordato anche per essere un uomo dalle molte contraddizioni.
Ci sonostati dei capitoli bui nella sua carriera. Il doping? Ha fatto tanti sbagli nella vita, uno di questi è stato sicuramente il doping. Ma come poteva un ragazzetto di provincia ribellarsi alle imposizioni di medici e dirigenti? Nel libro ha raccontato tutto. Si è detto che il glaucoma può essere legato a questo abuso di farmaci fatto in passato. Lui ha sempre pensato di si. Mi ha sempre detto: «Con tutto quello che mi hanno fatto prendere…».
Dopo il doping il calcio scommesse.
Carlo è entrato in tutti i malaffari del calcio italiano… Almeno lui è l’unico che ha avuto il coraggio di assumersi le proprie colpe, ovviamente non subito, però lo ha fatto. Avrebbe potuto riciclarsi in qualche modo, invece ha preferito raccontare tutta la verità. E il mondo del calcio l’ha squalificato a vita.
Una vita tormentata
Da quando l’ho conosciuto Carlo ha vissuto sempre con la dannazione del pensiero della morte del figlio Diego. Per tumore al cervello tra l’altro, a volte il destino… Petrini fu costretto a rifugiarsi in Francia a seguito di alcuni investimenti andati male che lo avevano messo nel mirino di alcuni mafiosi. Nel ’95 il figlio si ammalò e in punto di morte fece un appello in diretta tv al Tg delle 20 chiedendo di poter rivedere il padre. Carlo mi raccontò che esitò a tornare perché non voleva tutta l’attenzione dei media su di se’ e sulla sua famiglia e, proprio mentre stava prendendo la sua decisione, gli arrivò la notizia della morte di Diego. Questo episodio lo segnò e lo costrinse a cambiar vita. Nel ’98 Petrini torna definitivamente in Italia e inizia una nuova vita. Carlo ha sbagliato molto nella sua vita, ma ha avuto molto coraggio. Dopo aver perso tutto, ma proprio tutto, ha deciso di ripartire ammettendo le sue colpe, dicendo tutta la verità. E questo gli è costato molto, ha perso gli amici e gli affetti. Il mondo del calcio lo ha messo definitivamente da parte. Quelli che prima gli erano vicini si allontanarono perché era diventato una persona scomoda, qualcuno con cui era meglio non aver a che fare.
Nel 2000 pubblica “Nel fango del dio pallone” la sua autobiografia.
Un libro drammatico e bellissimo allo stesso tempo. Carlo decise di intraprendere la carriera di scrittore. Brillantemente. È diventato uno straordinario cronista. Oltre “Nel fango del dio pallone” ha scritto numerosi altri libri di inchiesta e denuncia su temi scottanti come il doping, il calcioscommesse, Moggi, la Juventus, il Milan di Berlusconi e la morte di Bergamini. Anticipando verità che solo oggi stanno venendo fuori. Mi piace ricordare la testimonianza del pm di Calciopoli, Giuseppe Narducci: “Sono uno strano tifoso di calcio, uno che ha letto tutti i libri di Carlo Petrini.