(C. Zucchelli) – Il giorno dopo a Trigoria si cerca di andare avanti con la forza di un giorno qualunque. Di una normale domenica di allenamento. Peccato che di normale al Bernardini ci sia poco o nulla. La Roma, tra l’indifferenza totale dei tifosi, scende in campo alle 11 per smaltire le tossine dell’impegno di sabato sera contro il Napoli e per preparare la prossima partita, domani al Bentegodi contro il Chievo. All’apparenza, come detto, sembra una giornata come tutte le altre: non ci sono tifosi fuori dal centro sportivo, ci sono invece giocatori e dirigenti. E c’è, soprattutto, Luis Enrique. Il lavoro quotidiano è la sua unica certezza in questo momento: fa allenare la squadra, partecipa alla partitella e quando prende un palo al termine di una bella azione personale impreca come quando era ancora calciatore.
È il suo modo di scaricare la tensione, forse. Perché la tensione a Trigoria c’è. Il pareggio contro il Napoli, acciuffato in extremis dopo due sconfitte pesanti contro Juventus e Fiorentina, conta poco o nulla. «In un’altra situazione – fanno notare dal Bernardini – un pari contro la squadra di Mazzarri sarebbe stato un successo. Ma adesso…». Adesso è tutto in bilico. Luis Enrique in particolare. Ieri ha parlato alla squadra per qualche minuto e ha ribadito quello che già aveva detto pubblicamente dopo la partita: il primo tempo gli è piaciuto tantissimo, i giocatori hanno fatto quello che lui aveva chiesto. Nella ripresa il crollo è stato psicologico, ma da salvare c’è almeno la forza con cui negli ultimi minuti è stato cercato – e trovato – il pareggio. Tutto risolto quindi? Ovviamente no. Il futuro è un rebus. La società ha completa fiducia in Luis Enrique, uomo e allenatore. Per Franco Baldini era ed è la persona giusta per quello che lui e i proprietari americani vogliono costruire a Roma. Ma, nel caso il tecnico decidesse di andare via, nessuno lo costringerà a restare e a rispettare il contratto. Lo spagnolo è un uomo onesto, se dovesse davvero rendersi conto di non poter attuare le sue idee qui a Roma ringrazierà la società per la fiducia e saluterà tutti. Luis Enrique vuole ponderare bene ogni sua decisione. Sta riflettendo, vuole capire se può davvero essere un problema per l’ambiente e vuole capire che tipo di squadra avrà a disposizione l’anno prossimo. Non pretende chissà quale mercato, ma intende avere giocatori giusti nei ruoli giusti. La società la pensa nello stesso modo: basta esperimenti, basta anno di transizione, basta alibi. La Roma che si radunerà a luglio dovrà essere profondamente diversa da quella attuale. Se non negli uomini – attuare un’altra rivoluzione tecnica sembra impossibile – quandomeno nello spirito.
È Luis Enrique l’uomo giusto per fare questo? A Trigoria sono convinti di sì, fuori un po’ meno. La gente si interroga. Lo spagnolo, dopo i sonori fischi nel preliminare di Europa League al momento della sostituzione Totti-Okaka, è sempre stato protetto. Dalla partita contro la Juventus però i tifosi hanno cambiato atteggiamento: la pazienza è finita, le scete di Luis sono costantemente messe in discussione. Qualcuno lo difende: «Non serviva un genio in panchina per fare il gol che Gago si è divorato», il commento di qualche tifoso sabato sera dopo la partita, ma la maggior parte ormai lo fischia e lo contesta. La Curva lo avrebbe voluto insieme alla squadra, lui era già negli spogliatoi. La faccia ce la mette in altro modo. Parlando sempre, ad esempio. Lo farà anche stamattina e, c’è da scommetterci, non ci saranno novità trascendentali. Il suo futuro lo comunicherà prima alla società e alla squadra, poi alla gente. A fine stagione. Adesso serve solo salvare il salvabile e provare a sperare, quantomeno, in un finale di stagione dignitoso. Poi si tireranno le somme. E sul famoso (e a volte rinnegato) progetto verrà scritta l’ultima parola. Sarà Luis Enrique, e solo lui, a decidere quale.