(D. Galli) – Dal 27 settembre 1976 è romano e romanista. Lo è dai pollici al cuore. Lo è anche quando non indossa la maglia di cui è capitano coraggioso, leader assoluto, simbolo, bandiera. E per un romano romanista così, per Francesco Totti, Juve-Roma non è una partita qualsiasi. È la Partita. È un moloch. È JuveRoma. Così come lo leggete, tutto attaccato. Una specie di hashtag della nostra storia, un leitmotiv ricorrente, una sfida che in amichevole diventa nemichevole per forza, per natura, perché è così.
Lo è per noi e pure per loro. Ma per noi di più. Per noi, e quindi anche per Totti, che l’8 febbraio 2004 mandò a casa Tudor e tutto il popolo gobbo. E zitti, eh? Sarà forse per questo che a 48 ore da JuveRoma la Fifa intervista proprio lui. Totti. Il principe della antijuventinità. Non tanto, o non solo, per quello zitti e a casa del 2004 o perché alla Juve ha fatto in campionato 7 gol. Piuttosto, perché dopo un memorabile scippo, quello del 5 marzo 2005. Il furto di Roma-Juve 1-2 fu talmente clamoroso (gol di Cannavaro in fuorigioco, il rigore ai bianconeri per un fallo su Zalayeta avvenuto fuori area) che Totti sbottò: “Contro la Juve abbiamo fatto di tutto per vincere, ma era difficile in 11 contro 14″. Contro Racalbuto e i suoi assistenti. Quel Roma-Juve si rivelò una delle pietre miliari di Calciopoli.
Totti, che quella partita l’aveva giocata (anzi, subita), se lo sentiva da almeno un anno. L’intervista alla Fifa è roba di cuore, verbache non volant, un puro manifesto del tottismo che prende a picconate i soliti luoghi comuni. Uno, per esempio: Totti e Luis Enrique non si sopportano. Falso. Una cretinata. Ci possono essere state delle incomprensioni iniziali, questo sì. Errori di valutazioni compiuti dal tecnico. Errori oggettivi, perché Totti non può certo valere Okaka. Scelte che hanno portato Francesco a sedere in panchina, ma solo agli esordi di questa epopea asturiana. “È normale non essere felici – spiega il capitano alla Fifa – quando non si gioca. Ma mi sono sempre messo a disposizione per aiutare la squadra. E quando ho cominciato a giocare non ho fatto troppo male, quindi il mister ha iniziato a prendermi più in considerazione“. Luis Enrique ha rivoluzionato la Roma: negli uomini, nell’assetto tattico, nella filosofia di gioco, nelle regole. E questo ha comportato dei risultati altalenanti. “Ho sempre detto – dice Totti – che quando ci sono dei cambiamenti, ci vuole un po’ di tempo perché le cose vadano bene. L’obiettivo di Luis Enrique è quello di portare una nuova mentalità in Italia. Mi piace il suo sistema di gioco e sono sicuro che presto risulterà vincente“. Poi dal quartier generale del calcio gli fanno una domanda banale. Dalla risposta scontata, per un romanista. Gli chiedono se preferirebbe vincere un altro Mondiale con l’Italia o il quarto scudetto con la Roma. Francesco risponde ovviamente nell’unico modo possibile: “Lo scudetto con la Roma, senza dubbio. È una gioia che non può essere eguagliata”. Perché? Semplice. “Io appartengo a Roma. Sono nato a Roma, sono romano e romanista. Anche se ho avuto molte possibilità di andare via, ho detto sempre di voler indossare solamente una maglia durante la mia carriera. Non riesco ad immaginarmi con un’altra “.
Non riuscirebbe a immaginarselo lui. Ma nemmeno Cristian e Chanel. “Non so – commenta infatti Francesco – come lo avrei potuto spiegare ai miei figli”. Sarebbe apparso incomprensibile ai loro occhi. Perché “la Roma“, avverte il capitano, “ha avuto la precedenza su tutte le offerte che ho avuto. Sono felice della mia decisione“. Essere della Roma “vale molto di più che vincere il Pallone d’Oro“. Ieri a Trigoria ha firmato un gran gol in mezza rovesciata. Ripreso da Roma Channel, l’azione ha già fatto il giro del web. A settembre compirà 36 anni, ma Totti non ha alcuna intenzione di abdicare. “Ho ancora due anni di contratto e, se riuscirò a restare in forma fisica, spero di giocare fino a 40 anni. Per ora, però, è tutta una speculazione. Finché mi sentirò in forma e utile alla squadra, continuerò a vestire questa maglia con tantissimo orgoglio. E quando non mi sentirò più nelle condizioni giuste, sarò il primo a chiamarmi fuori. Io credo nelle mie potenzialità. L’importante è fare il necessario per restare in condizione: vivere una vita sana e comportarsi come un vero professionista“. Professionista, Totti lo è diventato. Romanista invece lo è sempre stato. Antijuventino pure