(G. ODDENINO) – Hanno soprannomi da fumetti, non hanno mai vinto uno scudetto e parlano sempre con un filo di voce, quasi a voler evitare disturbi o riflettori.Eppure a Claudio Marchisio e Daniele De Rossi toccherà il compito più difficile e da urlo per chi è cresciuto come tifoso-giocatore della Juve e della Roma: diventare gli eredi di Alessandro Del Piero e Francesco Totti. Due capitani unici per spirito e dna, due totem impossibili da sostituire, due bandiere che domani sera si incroceranno per l’ultima volta in campo.
«Sarà una partita particolare anche per questo motivo – analizza Marchisio -: loro due hanno regalato straordinarie emozioni al calcio italiano, con i Mondiali del 2006 e con carriere straordinarie. Sono due grandi campioni e avranno voglia di essere protagonisti della sfida». Il testimone, però, sta per passare di mano: tra 70 giorni Del Piero non sarà più un giocatore bianconero e nella Juve si aprirà una nuova era imperniata sul “Principino” Marchisio. «Ci sono stati dei sondaggi per la fascia di capitano – disse il predestinato un mese fa -: sicuramente sarà di Buffon, ma un giorno potrei anche indossarla io. Del resto con maestri come Alex e Gigi…».
Totti, invece, ha ancora altri due anni di contratto e nessuna intenzione di mollare («Spero di giocare fino a 40 anni, se la forma fisica regge» ha svelato ieri al magazine della Fifa), ma la successione l’ha già preparata da tempo. «Prenderò la fascia – ha spiegato De Rossi quando l’attuale capitano, anzi il capitano di ogni epoca, smetterà. Anche perché l’etichetta da supereroe, il soprannome “Capitan Futuro”, non me li vedo proprio attaccati addosso».
Nell’attesa di farsi carico delle eredità calcistiche più pesanti di sempre,Marchisio e De Rossi studiano per uscire dai loro gusci di leader atipici. Un po’ per il ruolo da centrocampisti che ricoprono, visto che non sono due numeri dieci e in campo occupano posizioni più di lotta che di governo, e un po’ per quei percorsi dietro i rispettivi capitani che rischiano di diventare macigni. «Starà a noi meritare questo “passaggio di consegne” – ha risposto ieri Marchisio a Sky -: spetterà a me e a Daniele, quando Ale e Francesco non giocheranno più per le proprie squadre, essere al loro livello».
Divisi da tre anni di età, ma accomunati da un’esperienza olimpica (De Rossi ad Atene 2004 e Marchisio a Pechino 2008), i due mediani azzurri cresciuti con il modello Gerrard in testa si trovano a braccetto per una carriera simile (giocano nella squadra che li ha formati nelle giovanili), il carattere fotocopia (schivi e poco appariscenti) e la crescita all’ombra dei rispettivi miti. «Siamo molto diversi io e Totti – specificò un giorno De Rossi, che lo frequenta da dieci anni -: lui si porta dentro una luce e a Roma è qualcosa di unico. Sembra quasi di un’altra epoca, spavaldo, sicuro di se stesso, con personalità».
Marchisio, invece, ha imparato ad ammirare Del Piero prima dagli spalti del Delle Alpi come abbonato, poi da ragazzino della Primavera aggregato da Capello alla prima squadra e infine da compagno di squadra. «Ho fatto dodici anni di giovanili e uno di serie B – si presentava il bianconero nel dicembre 2008 dopo l’esplosione tra i grandi -: non vorrei essere di passaggio e vorrei restare in questa squadra per tutta la mia carriera».
La road map se l’è ben tracciata, visto che un anno fa ha rinnovato fino al 2015 (2,5 milioni più premi) e sulle stesse orme si è mosso De Rossi: che ha avuto la tentazione di lasciare la Roma e provare a vincere qualcosa in altre piazze prima di firmare a inizio febbraio il prolungamento fino al 2017 da 5,5 milioni netti a stagione. «Si può essere felici e grandi a Roma senza scudetti o medaglie – disse il giorno dell’accordo -: io farei la firma per fare il percorso di Totti, anche se è impossibile raggiungerlo».