(M. PINCI) – La sconfitta a Torino con la Juventus brucia. Brucia i propositi europei della Roma, nonostante il terzo posto resti lì, a cinque punti di distanza. Brucia soprattutto gli alibi dietro cui per tutta la stagione si è nascosta la squadra di Luis Enrique: oggi, a cinque gare dalla fine, il volto della sua Roma è chiaro, e in attesa dell’esito sportivo, è già tempo di processi. Perché, è vero, la stagione che scivola triste verso la propria fine rappresenta il principio di un rinnovamento unico nel calcio italiano, soprattutto a livello di gestione societaria: dagli accordi a lungo raggio con il Coni per la gestione dell’Olimpico al lavoro concreto per il nuovo stadio che marcia a ritmi serrati, fino alle novità commerciali, a partire dall’accordo con la Disney. Gli undici in campo, però, non tengono il ritmo della proprietà, collezionando figuracce.
PERROTTA A UOMO: DOV’È LA “PROPOSTA”? – Il sesto posto attuale, a -5 dalla Lazio terza, non rappresenta un fallimento assoluto. Eppure, la sconfitta con la Juventus ha detto che molto di quanto era stato sin qui costruito, scricchiola pericolosamente. A cominciare dalle convinzioni del tecnico: quel “Non firmo per il pareggio” della vigilia, si è tradotto sul campo in un’inedita marcatura a uomo di Perrotta su Pirlo da medioevo calcistico. Soprattutto, inutile negli effetti: l’unico ottenuto è stato quello di convincere il gruppo di un’inferiorità tradotta non in rabbia agonistica ma in rassegnazione, e in una partita chiusa dopo appena 7 minuti. Forse, mai davvero iniziata. Della famosa “proposta” di gioco dietro cui per mesi si è nascosto Luis Enrique restano soltanto gli echi nelle conferenze stampa. Le cronache raccontano di una Roma non più riconoscibile, involuta, incapace non solo di proporre gioco ma anche di evitare colossali imbarcate, soprattutto lontano da casa. Più fragile di quando, 9 mesi fa, Luis iniziò la propria avventura nella capitale. Oggi, la Roma è un’orchestra di musicisti spesso stonati, a cui sembra soprattutto mancare uno spartito.
L’ALIBI DELL’ETÀ – Dall’inizio della stagione la Roma, dal tecnico alla proprietà, ha nascosto la mediocrità dei risultati dietro l’alibi di una squadra giovane, rinnovata da 11 acquisti. Eppure, l’età media degli uomini scesi in campo domenica sera contro la Juventus non scendeva sotto i 25, anni e mezzo, la stessa per fare un esempio, della rosa del Bologna, più alta della rosa di Udinese, Palermo, Fiorentina. Gli uomini di Conte, apparsi superiori in ogni zona del campo, erano in media più anziani di due anni e mezzo appena. Squadre in ogni caso mature. Non certo un gruppo di Primavera promossi frettolosamente, ma giocatori con esperienza internazionale: Pjanic ha giocato tre Champions League, con tanto di gol al Bernabeu, quattro ne ha disputate Bojan, che con Angel ha vinto l’estate scorsa l’Europeo Under 21. E Kjaer ha addirittura giocato un mondiale. Eppure, almeno i due difensori rappresentano un fallimento accertato. Evitabile, forse.
CODICE COMPORTAMENTALE E NERVI SCOPERTI – Ma il campo ha mostrato anche dei forti scricchiolii sulle “proposte” della società. Perché la Nuova Era aveva debuttato sotto la bandiera della rivoluzione culturale, partendo dal codice di comportamenti e dal precetto di non commentare l’operato arbitrale. Il risultato? Dieci espulsioni, quante messe insieme sommando le ultime due stagioni. In più varie tensioni interne, a partire dalla più celebre tra Osvaldo e Lamela, protagonisti anche domenica a Torino. Il trequartista con lo sputo vergognoso a Lichtsteiner, l’attaccante – e prima di lui era capitato anche a Taddei e non solo – commentando con parole dure l’arbitraggio di Bergonzi (“Mi sono sentito preso in giro, pensa di essere il Padre Eterno”), nonostante sapesse che “La società non vuole che ne parliamo”. Alla faccia del codice etico, imposto da Luis Enrique e sottoscritto dalla società. E, evidentemente, non condiviso da tutti.
QUEL DURO CONFRONTO TRA I LEADER E BALDINI – Ma il nervosismo ha spesso superato i confini del campo. Dopo Roma-Udinese, riscatto apparente del tonfo di Lecce, nello spogliatoio di Trigoria, Baldini ha tenuto un confronto durissimo con tre leader dello spogliatoio: Osvaldo, De Rossi e Heinze. “Diccelo in faccia adesso che non abbiamo personalità”, il senso delle parole dei tre, risentiti con il dg per quel pensiero – “Qualche giocatore è stato sopravvalutato caratterialmente” – del dopo-Lecce. Un confronto chiuso con porte degli spogliatoi sbattute in faccia e lunghi silenzi. Il chiarimento qualche giorno dopo, soprattutto tra il centravanti e il direttore generale. Non abbastanza, però, per evitare un’altra sconfitta rumorosa, come quella di Torino, che costringe a un processo di analisi la stagione della Roma. Da mercoledì, con la Fiorentina, il via all’appello.