Per lui, tre tonalità: giallo, rosso e azzurro. Leggenda della Roma e della Nazionale del Mundial, con quel 7 sul cotone accarezzato dai capelli. Palla c’è, palla non c’è, il tempo di una parola, tutta attaccata: Bruno- Conti.
Iniziamo dall’ABC: come si diventa Bruno Conti?
“Mi piaceva giocare a baseball. Il mio primo sport era questo. Era un divertimento, con tutte le problematiche che c’erano. Eravamo sette figli, ma quando uscivo da scuola trovavo il tempo per andare a divertirmi. Col baseball d’estate e col calcio in oratorio d’inverno. Andavamo al ‘Sacro Cuore’, poi con la crescita hanno iniziato a propormi i tanti provini calcistici”.
Primo ammiccamento, però, dal baseball americano…
“Si, vennero a parlarne a casa, ma mio padre disse che ero piccolo e che non sarei andato negli USA. Ero un bravo lanciatore, mancino naturalmente”.
Ti appassionava il diamante?
“Da morire. Avevo uno zio che era custode dello Stadio Comunale di Nettuno. Con la scusa di andare a trovare mio cugino ero sempre in campo. Giocando a baseball o come raccattapalle della squadra locale”.
Il pallone, appunto…
“Mi piaceva tutto lo sport in generale. Quando giocavo nell’Anzio, sono stato scartato da Bologna e Sanbenedettese. Mi dicevano che ero bravo tecnicamente ma fisicamente non potevo giocare a calcio. Sono stato rifiutato anche dalla Roma di Helenio Herrera, ma dentro di me non m’importava. Tanto giocavo a baseball. Fin quando, in un torneo dei bar, mi vide giocare Tonino Trebiciani, all’epoca secondo allenatore della Roma, ho fatto provino nel ’73 e mi hanno preso”.
Ti sei sempre divertito nel calcio?
“Sì. Non potrò mai dimenticare quando Nils Liedholm mi portava, da Primavera, agli allenamenti al campo ‘Tre Fontane’ e prima di un’esercitazione sui fondamentali mi chiamava per far vedere a gente della prima squadra, come De Sisti e Cordova, come si svolgesse. Era un divertimento, mi riusciva naturale, avevo sempre questa voglia di migliorarmi. Lui mi ha insegnato stop di tacco, di stinco, di coscia, d’interno, d’esterno, come facevi a non divertirti?”.
Hai amici veri nell’ambiente?
“Vado d’accordo con tutti, quando ci s’incontra con gli ex compagni o avversari sembra ieri. I più stretti sono Carlo Ancelotti e Roberto Pruzzo. Con Carlo dividevamo la camera, eravamo in Nazionale, le famiglie si frequentavano. Con Roby abbiamo condiviso, prima di trovarci alla Roma, l’anno al Genoa, il militare, vivevamo assieme. Amici come uomini prima che come atleti, c’è stima e rispetto. Persone rimaste umili nonostante il successo”.
Fonte: tuttomercatoweb.com