Decideranno i giudici sportivi se Antonio Conte è davvero colpevole, e quanto castigo meriterà quella colpa: basta aspettare. Ma nel pantano popolato da mostri del calcio italiano, vale la pena di porsi – subito invece – qualche altra domanda: come procede la procura federale che indaga sullo scandalo scommesse? Quali sono i criteri che orientano le azioni del procuratore Palazzi? Qual è la sua strategia inquirente? Su quali basi scrive e detta l’agenda di interrogatori e deferimenti?
Il caso Conte è esemplare. Vediamo. Il giocatore Carobbio, pentito, accusa l’allenatore della squadra in lotta per lo scudetto di essere stato coinvolto in un caso di combine quando allenava il Siena. Palazzi lo apprende in un interrogatorio nel quale il giocatore fornisce dettagli, circostanzia il racconto, cita i testimoni. Palazzi scrive il verbale della deposizione e lo mette agli atti. Poi comincia a cercare riscontri, torchiando tutti i tesserati del Siena coinvolti nella vicenda. Tutti tranne uno. Conte. Lui no, non viene convocato. Nessuno gli chiede: scusi, ci perdoni, la accusano di questo e quest’altro, ci spiega come andarono le cose? No, Conte no. Neppure quando, un mese fa, il suo coinvolgimento trapela sui giornali, e lui reagisce sdegnato parlando di veleni diffusi ad arte per fermare la Juventus.
Ora, qui non si tratta di essere colpevolisti o innocentisti, tantomeno prima ancora che sia stato ipotizzato un processo. Si tratta di capire, però, in nome di quali principi l’ufficio inquirente della federcalcio abbia decisodi non convocare Conte fino ad oggi, 18 maggio. Ha sentito centinaia di persone, Palazzi: squadre intere coivolte nella lotta per la salvezza in serie A e in quella per la promozione in B, dirigenti, pentiti, direttori sportivi. Ha obbedito da bravo soldato all’ordine del generale Abete: fare presto e subito. Ha incardinato i primi processi sportivi per il 31 maggio, ha fatto passare notti da incubo a due terzi delle squadre di B, ha costretto i suoi disgraziati collaboratori a lavorare 48 ore consecutive, per 40 euro lordi al giorno. Però Conte non l’ha chiamato. Quando avrebbe potuto farlo? In un giorno qualsiasi dopo il verbale di Carobbio. Datato 29 febbraio. Settantotto giorni fa. Buon senso, dirà qualcuno, c’era il campionato da far finire. Lo dica alle 22 squadre e ai 61 tesserati deferiti l’8 maggio, nel pieno della fase decisiva dei loro campionati. Per loro non si poteva aspettare, fare presto, era lo slogan di Abete. Fare cosa, però, ancora non si sa.
Fonte: repubblica.it