(Corriere dello Sport) – Nel pomeriggio del 25 aprile, dopo la sconfitta con la Fiorentina, Luis Enrique è entrato nella sala conferenze dello stadio Olimpico rosso in volto, con gli occhi affaticati e la voce roca. “Mi piacerebbe parlare con il cuore, poi vi lascerò fare un paio di domande”. Ma di fronte alle proteste delle decine di giornalisti in platea, che chiedevano di prendere la parola, Luis Enrique si è frenato. “Ok, facciamo come volete voi2. Non c’è la controprova, e nemmeno una macchina del tempo che consenta di riproporre la situazione, ma la sensazione è che in quella sede Luis Enrique avrebbe annunciato le dimissioni. (…) Non perché a freddo avesse cambiato idea sull’addio a fine stagione, ma perché gli sarebbe dispiaciuto destabilizzare un ambiente già cigolante mettendo in crisi Franco Baldini. Cioè l’uomo che lo ha sempre appoggiato, in ogni decisione, anche la più scomoda come l’esclusione di De Rossi a Bergamo o la sospensione di Osvaldo per il pugno a Lamela.
IL COLLOQUIO – Luis Enrique ha chiuso con la Roma proprio quel giorno, il 25 aprile. E lo ha fatto capire, anche senza dimettersi: “Manca un giorno in meno al mio addio”. Turbato dai fischi del pubblico, dalle contestazioni che erano proseguite fuori dallo stadio, ha confidato ai dirigenti le sue perplessità, la tentazione di lasciare. Ha capito che il suo calcio, che richiede tempo per essere recepito, non era funzionale a questo contesto, dove le pressioni sono fortissime. Sono stati Baldini e Sabatini a proteggerlo e a incitarlo, chiedendogli di rimanere per le successive quattro giornate di campionato. Con la promessa di riparlare del futuro alla fine del campionato. Luis Enrique ha accettato più per correttezza e rispetto che per effettiva convinzione. Si era già reso conto, forse, che la squadra non si sarebbe più rialzata. E che non sarebbe stata in grado di conquistare un posto in Europa.